Licia Satirico per il Simplicissimus
Massimo Gramellini ci ha offerto una sua personalissima interpretazione del nepotismo: nella puntata di “Che tempo che fa” di ieri sera, il vicedirettore della Stampa si è lanciato prima in un attacco sulle degenerazioni dei “baroni” e poi in una strenua difesa dei figli “bravi”, al di sopra di ogni sospetto. Esempio di malcostume universitario, di familismo ostentato e indifendibile è per Gramellini quello (imbarazzante) della sapiente famiglia Frati di Roma. Viceversa, sarebbero indegni gli attacchi della rete contro la figlia di Elsa Fornero, rea di essere stata procreata da due professori del suo stesso ateneo nonostante il curriculum “da paura“ e le riconosciute capacità: il messaggio pedagogico (un virus stagionale che affligge molti giornalisti) è che bisogna guardarsi da generalizzazioni qualunquistiche, perché i figli competenti esistono e non meritano inverecondi sospetti. Il noto giornalista non si preoccupa, peraltro, di generalizzare l’intera categoria dei professori universitari utilizzando l’inascoltabile termine “baroni”: un marchio d’infamia abilmente manipolato da quella campagna mediatica che ha individuato nei soli docenti i mali irreparabili dell’università italiana, preparando il terreno alla legge Gelmini.
In verità è molto difficile pensare che l’investitura accademica dell’intera famiglia del rettore della “Sapienza”, storico preside della facoltà di medicina dell’università più affollata d’Italia, sia il frutto di coincidenze o di fattori eminentemente meritocratici. Luciana Angeletti in Frati, laureata in lettere, è diventata ordinario di storia della medicina presso la facoltà di medicina. Paola Frati, laureata in giurisprudenza, è ordinario di medicina legale presso la facoltà di medicina, rappresentando forse l’unico caso di medico legale che non possa eseguire autopsie. Giacomo Frati, ora straordinario di scienze tecniche mediche applicate, divenne professore associato discutendo una lezione sui trapianti cardiaci davanti a una commissione composta da due professori d’igiene e tre odontoiatri. Si tratta di una famiglia così legata all’università che persino le nozze di Paola Frati sono state festeggiate nell’aula magna di Patologia generale della facoltà di medicina.
Tuttavia, l’eloquentissima storia della famiglia Frati descrive una serie di fattori cui Gramellini evita di attribuire valore (o disvalore) universale. Quello dei Frati è un caso patente di familismo amorale, nel senso dato a questa espressione da Edward C. Banfield: questa specie di familismo presuppone la sovrapposizione tra interesse personale e pubblico da un lato, e l’assenza di ethos comunitario dall’altro. Si fonda, inoltre, sulla convinzione che tutti, a parità di condizioni, si comporteranno allo stesso modo, perpetuando un costume diffuso. La famiglia come gruppo di potere condiziona relazioni, equilibri e organici, creando un crescente senso di disagio.
Ed è proprio questo il punto: qui non si discute il merito o il demerito del singolo figlio, certo non svalutabile in astratto, ma l’opportunità della sua presenza nel medesimo contesto professionale dei genitori. È un problema che tocca inevitabilmente anche Silvia Deaglio, nonostante il cursus honorum e le cospicue pubblicazioni: perché una persona così brava avrebbe potuto radicarsi professionalmente dappertutto, non certo solo sotto l’ala dei genitori, e avrebbe comunque dovuto evitare di farsi finanziare le prime ricerche proprio da quella Fondazione Sanpaolo di cui la madre era vicepresidente. Il duplice sdegno di Gramellini per la famiglia Frati e per i detrattori della figlia di Elsa Fornero è quindi segno di un duplice ethos poco convincente: ci sarebbero familismi censurabili e incensurabili, maggiori e minori, osceni e doverosi, intollerabili e tollerabili.
La morale a doppio binario è parente del moralismo, inteso come ipocrisia della morale: è il pensare che esistano regole diverse per persone diverse, che esistano figli “più uguali degli altri” non solo nella rivendicazione di privilegi, ma anche nella loro piena legittimazione. La famiglia Frati non dà e non pretende di dare lezioni di etica a nessuno, vivendo nel familismo come nel suo elemento naturale. Lo stesso non può dirsi di Silvia Deaglio, che replica stizzita alla rete di andare a guardare il suo curriculum. Come se un elenco burocratico di titoli e incarichi potesse tacitare il dubbio – fortissimo – che Deaglio e Frati siano solo facce diverse dello stesso fenomeno: Jekyll e Hyde del familismo accademico italiano.
La richiesta di non generalizzare è doverosa, perché la morale e la legge non sono sovrapponibili. La legge dice che è proibito lavorare per un figlio nell’università del padre. La morale dice che il migliore deve essere preferito al peggiore. Anche se la legge è fatta per evitare casi in cui il peggiore è preferito al migliore, nulla vieta che il figlio sia il migliore, e grazie alla legge il peggiore gli sia preferito.
La legge è una pezza che salva la faccia per non cambiare niente: i figli dei prof dell’università di Catanzaro ora vanno a Reggio Calabria e viceversa. Negli USA non c’è niente del genere (vi sono anzi favoreggiamenti per il ricongiungimento familiare nelle università), non ci sono neanche concorsi ma le assunzioni sono a chiamata. Semplicemente il dipartimento è responsabile del rendimento dei suoi lavoratori: se il padre prende suo figlio che è meno bravo, ci rimette il dipartimento. La pressione dei colleghi basta a evitare una situazione simile.
Inutile soffermarsi sul fatto che sono entrambi figli di. Questo è un problema solo per quanto riguarda una legge (ridicola) approvata dopo la loro nomina. Per la morale, un caso è il caso di un ricercatore che vince un concorso nonostante ci siano dubbi ragionevoli che fosse il miglior candidato, con un curriculum al di sotto della media per quella posizione. L’altro è il caso di una ricercatrice che vince un concorso essendo la miglior candidata, con un curriculum decisamente al di sopra della media. Punto. Di chi siano figli, è interessante solo per spiegare il concorso eventualmente truccato, non è un marchio d’infamia essere figli di un professore universitario o voler lavorare nella città dove si è nati.
Cosa vuoi, Gramellini ( che apprezzo) e Mario Deaglio ( economista di punta della Stampa), lavorano spalla a spalla nella redazione del giornale ” La Stampa.