Immagini dall'archivio del bisnonno, dollaro tedesco di Tsingtau, oggi Chengou

Ieri ho scritto (qui) dello smacco subito da Berlusconi e Tremonti nel dover chiedere aiuto alla Cina, potenza economica formalmente comunista, proprio loro che hanno del termine comunista una specie di insulto. Smacco doppio perché con i loro falsi muracoli, le loro battutine, i loro affari proprio in questa resa al “nemico” hanno rivelato tutta la loro inconsistenza politica e il loro dilettantismo economico.

Perché di una cosa sono assolutamente convinto: che se l’Europa avesse fatto l’Europa, conservando gelosamente il senso delle sue libertà e delle sue conquiste, invece di darsi in pasto al liberismo, non saremmo a questo punto. E l’Italia oggi non dovrebbe chiedere un’elemosina a Pechino se al main stream del capitalismo finanziario non avesse aggiunto la spada di Brenno dell’intima e profonda corruttela in cui si è inabissata la sua classe dirigente.

Ma a parte questo, il tenore dei commenti a me come a tutti i siti e i giornali on line,  mi spinge però ad aggiungere che il guaio sta non sta tanto nell’ingresso della Cina in grande stile negli affari Italiani, quanto nell’inesplicabile ritardo con cui una classe dirigente vecchia, ottusa e ignorante, abbagliata dall’America, non è riuscita a comprendere la chance che per il Paese aveva la rinascita dell’Asia. E ci arriva adesso quando siamo costretti a una posizione di debolezza contrattuale e marginalità industriale, buoni per il ripieno di un involtino primavera.

In realtà l’oriente è sempre stato il buon affare dell’Italia. Intorno al 100 dopo Cristo  su una popolazione stimata di sei milioni di abitanti, almeno due milioni provenivano dal vicino oriente. Più tardi la potenza di Venezia e Genova, come di molti altre città minori, consistette proprio nell’importazione di tecnologia cinese (la seta), spezie e manufatti dal resto dell’oriente che fecero la fortuna dell’intero Paese e a svilupparne le manifatture. Marco Polo ci ha lasciato il primo dei “viaggi straordinari” della letteratura europea e Colombo salpò per raggiungere la Cina e il poliano arcipelago di Cipango che poi era il Giappone.

Ma quando al contrario scopri l’America per l’Italia fu una iattura perché i commerci si indirizzarono sempre di più verso l’Atalntico, tagliando fuori l’Italia dal grosso dei commerci mondiali. Fini così il Rinascimento e inziò una lunga decadenza durata due secoli e mezzo. Ora che la corrente torna di nuovo verso gli oceani indiano e pacifico è chiaro che abbiamo una grande chances di ritornare ad essere un ponte di scambi commerciali e tecnologici oltre che mediatori di civiltà. Sempre che qualcuno lo comprenda per tempo e che un minimo di civiltà riusciamo a conservarla liberandoci dalla inutile e orrida feccia morale e intellettuale che si depositata in questi anni.