Anna Lombroso per il Simplicissimus

Annullata dal Tar del Lazio la giunta del Comune di Roma per il mancato rispetto delle ‘quote rosa’. Lo hanno deciso i giudici della seconda sezione, presieduti da Luigi Tosti, i quali hanno accolto i ricorsi proposti dai Verdi di Bonelli, dalle consigliere comunali di Roma di Pd e Sel, Monica Cirinnà e Maria Gemma Azuni, e dalle consigliere di Parità della provincia di Roma e della regione Lazio, Francesca Bagni e Alida Castelli. Con dispositivo 6347/11 il tribunale amministrativo del Lazio ha quindi accolto il ricorso presentato dall’avvocato Gianluigi Pellegrino difensore delle due consigliere (Cirinnà e Azuni) contro la giunta Alemanno. E’ stata ”vinta una battaglia di civilità”, ha detto il legale.
Certo ci sono precedenti illustri di strabismo giudiziario: in tempi di poca fortuna devono aver bendato la giustizia. Si sa, tanto per fare un esempio, che Al Capone finì a Alcatraz per illeciti finanziari e reati fiscali, grazie a un pizzino malandrino. Poi in mancanza di strumentazioni più arditamente ad personam – e d’altra parte invece di scendere in politica si era limitato a prendere dei politici come impiegati a libro paga – dovette subire un processo e vivere in una detenzione resa garbatamente sopportabile dal trasferimento dietro le sbarre della collaudata pratica della corruzione. Mai esempio fu più calzante dunque per parlare dei gangster nostrani.

Ma viene bene anche per dire che la giunta Alemanno, nella patria del diritto che non riesce a essere la patria della giustizia, avrebbe dovuto essere sciolta per ben altri motivi e per ben altre denunce e che avremmo visto più volentieri una class action dei rom, una delle donne invitate e vestirsi più congruamente per evitare inevitabili violenze e meglio di tutto una “urbis action” dei romani cui si sospetta avrebbero aderito anche quelli che l’hanno votato.
È che questo Paese si è talmente abituato a inazione, incapacità, inefficienza, illegalità, che forse lo smuove altro. E creano scandalo Ruby più dello scippo al futuro di tutte le donne e anche degli uomini, i corpi vilipesi delle ragazze copertina più dei corpi martoriati della legge sulla cattiva, perfida, inumana morte, le mancate quote rosa più della mancanza di doverose quote di intelligenza, onestà e competenza.

C’è stato un momento nel quale si è pensato che la morsa della corruzione, dell’illegittimità, della furbizia, dell’iniquità avrebbe dato origine a una forma inedita di “socialismo”, non riformista magari, non più utopico o romantico, non più evangelico o filantropico: quello dello stato di necessità. Una forma di governo della sopravvivenza contro l’autodistruzione, dettato dall’obbligo di porre dei limiti ai desideri, al profitto, all’accumulazione e ai soprusi. Non era la rivoluzione e nemmeno l’utopia, ma forse un capitalismo ben temperato, un mercato educato di consumi compatibili con le risorse, di benessere esente da sprechi, di un equilibrio risparmiato dalla competizione.
È che forse è troppo tardi e la rivoluzione è più accessibile dell’utopia e l’anomalia è più normale della ragione.