Anna Lombroso per il Simplicissimus

La signora Marcegaglia (che ogni volta che esterna mi persuade dell’improbabilità di applicare universalmente un pregiudizio positivo di genere) ci ha somministrato uno di quei pronunciamenti epocali che prediligono come medium il videomessaggio: in un’Europa e in un’Italia afflitte da “tante difficoltà” e che stentano a riprendere la via della crescita, gli imprenditori “mai come adesso si sentono soli”. E proprio perché il “momento è straordinario” occorre “mobilitarci tutti, unire le forze senza scaricare le colpe sugli altri per dare al paese un messaggio chiaro e preciso delle cose da fare”. Invitando gli imprenditori a rimboccarsi le maniche, a “far sentire la propria voce” perché “dall’impresa può e deve venire un esempio per tutti”, la Marcegaglia tira la volata a Montezemolo spronando l’esercito scontento di Viale dell’Astronomia a fare gruppo, a dare l’esempio, a decidere insieme “l’Italia da fare”.

Non è la prima volta che la signora rivela una certa fragilità, un timore trepido e delicato di essere lasciata sola, si sarebbe detto una volta “femminile”.

Tempo fa in un periodo già avvelenato dalla circolazione di veleni, dossier, minacce trasversali, avvertimenti indiretti e ricattatori, ci aveva svelato che anche chi ostenta usi probi e integerrimi, comportamenti ispirati dal rispetto delle regole e per esteso anche chi vive ben accomodato in regole convenzioni e comportamenti socialmente e moralmente ineccepibili può essere vittima di un irrazionale o non ben motivato timore. E indulge ad abbandonarsi a reazioni non solo inappropriate, ma che sfiorano l’illiceità se alla trasparenza e al ricorso a percorsi diretti, semplici, democratici, chiari, informati si perpetua il costume proprio di questa classe dirigente, soggetta alle regole dell’affiliazione, nella quale si riconoscono come virtù l’appartenenza , la fedeltà cieca, l’affidabilità, la predilezione per accordi sottobanco e trattative opache. Con effetti che si ripercuotono sul piano morale e ben più sul piano politico con l’erosione dei valori del pubblico interesse e nella sostituzione del bene generale con quello particolare, con le sue intese scellerate, con una circolazione di favori, prebende, prestazioni anche sessuali, corruzione e test di fedeltà cui gli ammessi vengono sottoposti apparentemente in un clima leggero e goliardico di compagni di marachelle, ma che nasconde una combinazione di feroce competizione e servilismo, sopraffazione e prepotenza, nella quale padroni e sottoposti sono legati da un vincolo di corruzione e dipendenza, regalie e intimidazioni, complicità e minacce.

Allora la signora Marcegaglia ci dimostrò, chiedendo nelle tenebre della trattativa tra padrini, un trattamento benevolo al capobastone, di sottostare interamente a quelle regole, che aveva evidentemente fatte proprie essendone al tempo stesso oggetto e vittima, regole dettate da un movente comune, la paura: di perdere privilegi, ricchezza, potere, influenza. I suoi richiami non hanno nessuna credibilità, se non per i suoi affini.

Non ci incoraggia certo sul futuro di questa democrazia in bilico sul precipizio il grido d’allarme di chi ha interpretato il primato del corporativismo particolaristico dei gruppi e ora vuole rappresentare e vedere riconosciuta la rivincita degli interessi, e dei privilegi, peraltro di pochi.

Non convince la lezione di chi comunque tutela anche nei propri usi, la permanenza del potere invisibile non denunciato prima anzi riconosciuto e rispettato, alla cui ombra continuano ad operare poteri forti ed esclusivi: gruppi corporati, consorterie di interessi, clan portatori di convenienze personali.

Insomma non deve essere persuasiva l’insidia oligarchica dietro la maschera populista: non deve bastarci una modalità di ritrovato Stato di diritto se tutela solo i diritti patrimoniali o i diritti di parte, se esclude dal riconoscimento garanzie economiche e sociali di tutti rispetto alla salvaguardia di privilegi di pochi. E che i richiami alla coesione di un gruppo abbia proprio questa cifra di segmentazione e depauperamento dei diritti è dimostrato dalle aspirazione esplicite dell’appello “meno ai padri più ai figli” di Ichino e Montezemolo, che vuole suffragare che è l’eccesso di regolamentazione del mercato del lavoro che frena la crescita e che circoscrivendo le conquista di qualcuno si favorisce l’affermazione di qualcun altro.

La rottura dimostrativa e simbolica del patto generazionale è uno dei caratteri più inaccettabili di questi soggetti che avanzano con la vocazione predatoria che ha sempre il “capitalismo” e il suo esercito quando scende in irriducibile difesa dei suoi privilegi. E quando vuole fare dimenticare che è proprio dei diritti la capacità di crescere in modo solidale, che solo la tutela moltiplica tutela, che la loro forza è consolidata dalla loro indivisibilità e dalla condizione irrinunciabile di essere applicati in modo quanto più possibile diffuso e uniforme.

La coesione desiderata dalla signora Marcegaglia è come il federalismo del governo e la solidarietà di certi economisti: divide i deboli per unire i già forti.