Anna Lombroso per il Simplicissimus
Mi occupo da anni di questioni ambientali, non credo a Gaia come organismo vivente che si ribella e soffre a causa nostra, ma certo il pianeta contento non è. E qualcuna di quelle convinzioni romantiche e liriche che piacciono tanto agli integralisti del green hanno incantato anche me. Per esempio che reato derivi in qualche modo da rivus, a indicare che l’acqua, il suo governo, la sua proprietà hanno una carattere primario così rilevante da determinare la nascita del “diritto”, allo scopo di dirimere proprio le questioni riguardanti una risorsa così preziosa.
Ma si sa l’Italia è la patria del diritto però non vi alberga giustizia. O almeno non è benvista soprattutto dal governo in carica. Come non sono ben visti i beni collettivi, l’interesse generale, il benessere diffuso, il panorama, il centro storico dell’Aquila, la conoscenza, l’istruzione, il sapere. Si l’ho già detto presto, grazie al proibizionismo della bellezza, dovremo ascoltare Mozart in cantina, non più come Radio londra perché anche quella è stata presa da loro.
Anche l’ambiente e le risorse sono da personam: il mare deve essere diviso in porzioni davanti ai loro pontili e alle loro seconde e terze case, se l’aria è irrespirabile – in tutti i sensi – si va ad Antigua, il panorama dietro a Guidoriccio è la localizzazione perfetta per le villette a schiera dei famigli costruttori, il Billionnaire è ormai in crisi irreversibile ci sono altri lidi più graditi e tant’è fare in Sardegna un po’ di centrali. E l’acqua deve essere abilmente dirottata per innaffiare copiosamente giardini e collezioni di cactus.
Nell’agosto scorso l’assemblea generale dell’Onu ha approvato una risoluzione che riconosce l’accesso all’acqua come diritto fondamentale di ogni persona, attribuendogli il rango di diritto fondamentale e di caposaldo dell’uguaglianza.
Invece in questa enclave dell’arrogante e ottuso profitto personale proprio domani dovremo scendere in piazza per difendere questo elementare diritto a un bene comune.
Per carità molti altri angoli della terra sono scenari del conflitto la cui posta sono i beni comuni: acqua, aria, conoscenza, sapere – e che non si lascia racchiudere nello schema rituale del rapporto tra proprietà privata e proprietà pubblica.
Ma forse, non essendo ai confini tra Pakistan e India, ma anzi in una terra benedetta per ricchezza e nella pingue Europa irrorata di fiumi come di aspirazione a una governance illuminata, non avremmo pensato di scendere in piazza anche per questo, come d’altra parte ci è successo per rivendicazioni altrettanto primarie da sembrarci arcaiche ed estemporanee.
Sembra sia stato necessario che un milioni e quattrocentomila persone firmassero la richiesta di un referendum per ricordare che se è vero che non basta che una risorsa sia in mani pubbliche per salvaguardarne la qualità, è altrettanto vero che un bene comune è a “titolarità” diffusa, appartengono a tutti e a nessuno, nel senso che tutti devono potervi accedere e nessuno può vantare pretese esclusive. Integrano la dimensione del futuro e per questo devono essere governati nell’interesse delle generazioni che verranno e quindi sono patrimonio dell’umanità intera.
Come la conoscenza non può essere oggetto di chiusure proprietarie, con buona pace delle prestigiose macchine sputa-lauree care alla Gelmini e al suo padrone, così l’acqua non può essere considerata un merce che deve produrre profitto.
L’acqua come la conoscenza ci parla e ci dimostra l’irriducibilità del mondo alla logica del mercato, ci mostrano il limite nuovo imposto dalla sostenibilità, che va oltre quello dello scriteriato e dissennato consumo, e che è rappresentato dalla necessità di contrastare l’esclusione delle persone dalle opportunità, dalla sottrazione di possibilità,comprese quelle dell’innovazione e della tecnologia.
Chi risponde esclusivamente alla razionalità economica, chi vuole condannarci a ubbidire alle leggi del particolarismo, dello individualizzazione degli interessi, chi vuole imporci la logica dell’uso esclusivo compie un atto esplicito e violento di erosione delle basi morali della nostra società, lede il principio di condivisione che è alla base dei legami sociali e impoverisce il futuro, cancellato dallo sguardo corto del breve periodo.
Non è un caso che dal governo più iniquo venisse un ulteriore attentato all’uguaglianza, perché i beni comuni non tollerano privatizzazione, non sopportano discriminazioni all’accesso se non a prezzo di divisioni castali. E ancora una volta si pone il tema della minaccia alla dotazione dei diritti di ogni persona e quindi alla democrazia, che come la classe, non è acqua.
Non mi risulta che il sanscrito sia latino e del resto non ho ritenuto necessario fare l’intera storia della parola acqua che peraltro è abbastanza complessa: non volevo sembrare inutilmente saccente. Una preoccupazione e una sensibilità che evidentemente non è di tutti.
Saverio, a volte servirebbe anche qualche lezione di italiano. Magari sulle doppie.. Grazie Maria è un piacere avere a che fare con una cultura così “alta”, grazie davvero
In accadico, dialetto babilonese, “acqua” è “ adu” o “edu” e “uditu” (da cui viene il greco “idr”) è l’acqua alta, mentre “apsu” è l’oceano.
effettivamente ci aspettavamo qualcosina in più che un corso di latino accellerato……
peccato speravo tu mi illuminassi…
Non ne ho idea Anna, mi sono fermato al greco mesos potamòs… in realtà lo confesso quel poco di linguistica che conosco è limitato all’indoeuropeo
Giustamente il direttore riconduce al buon senso. Ma sai c’è in filone romantico dell’ambientalismo, per non dire animista, che preferisco a certi fondamentalismi e mi faccio contagiare. Per caso sai anche come si dice in babilonese?
Certo singolare etimologia quella che fa derivare reatus da rivus. In realtà reus e reatus derivano da res, cosa, mentre rivus deriva da ripa, riva, passato poi a designare il corso d’acqua stesso. In compenso acqua, termine molto simile in tutte le lingue indoeuropee e derivato dalla radice sanscrita AK-NA, testimonia dell’importanza assoluta che vi si attribuiva.