Anna Lombroso per il Simplicissimus

Ieri circolavano nella rete narcotici inviti ad una distaccata temperanza: non prestatevi, dicevano alcuni, a una strumentalizzazione dei tragici eventi verificatesi in Giappone per alimentare squallide polemiche nostrane sul nucleare.
Sia pure malvolentieri qualche volta mi piego all’esercizio dell’autocritica troppo poco praticato qui da noi.
Ma faccio ammenda per avere tante volte predicato la bellezze delle differenze in particolare quelle che ci distinguono da una classe dirigista più che dirigente che strilla, prevarica, manomette la realtà, mente protervamente sapendo di mentire, dà sulla voce protervamente, fa sberleffi sguaiati e professa la maleducazione e la mariola e perentoria volgarità come fossero le moderne cifre della comunicazione politica.
È probabile che mi sbagliassi. E credo sbaglino gli amorfi guru dell’obiettività,. Perché rischia di sconfinare nel benpensantismo conformista e nell’ipocrisia e presta un fianco complice a chi compie spericolate scorrerie nelle geografie delle menzogne di governo, nella manipolazione sorretta dalle grossolane impalcature dei maggiordomi dell’informazione perennemente al servizio della verità del più forte e del più ricco.
In questo caso non si tratta certo di sterili polemiche: la lezione è sempre la stessa che la storia inascoltata ammonisce di trarre da ogni evento, non ripetere gli stessi errori. Perché sembra un tragico spot globale sulle incognite che pesano sul nostro futuro: in molto settori non esiste una sicurezza totalmente, prevedibilmente e perennemente sicura. Il progresso non è sempre garanzia di evoluzione, la baldanza degli scienziati organici al profitto e la pianificazione ordinata e precisa della prevenzione non bastano ad occupare in tutti gli interstizi del rischio.
E ho cambiato idea anche perché grazie ad un alato volumetto di Remo Bodei comincio ad apprezzare le virtù dell’ira.
Il denaro muove il mondo in modo più insidioso di un tempo, quando il suo primato prendeva le sembianze di fedi o paure religiose, di ambizioni dinastiche, di smanie di gloria e potenza delle nazioni. Oggi si è resa immateriale ed incorporea attraverso il capitale finanziario, spira dove vuole attraverso lo spostamento di quote e il suo potere di corruzione crea ricchezze e determina miserie al di sopra del nostro controllo nel disprezzo delle regole e contro il nostro stesso interesse.
La refrattarietà del denaro a sottoporsi a norme e soprattutto a quelle del bene generale ha trovato il suo rappresentante e testimone ideale nel premier che sta facendo del nostro paese un protettorato una zona franca per l’illegalità, l’illiberalità, l’iniquità e il dispotismo.
In un posto dove il denaro è la misura di tutte le cose e tutto è potenzialmente in vendita diventano un bene offerto all’acquirente più spregiudicato e più ricco anche la politica e la democrazia. Per chi ha patrimoni la politica diventa una competizione tra tycoons per la conquista del mercato dei voti e a volte per l’impunità e la democrazia un investimento per i vantaggi che può recare salvo manometterla per trasformarla in una chiusa a opaca oligarchia al servizio di interessi di casta.
Una comunicazione al servizio di queste convenienze private è inevitabile e l’anomalia italiana ne esalta l’egemonia e la tracotante influenza.
E allora non c’è spazio per gli eleganti equilibrismi ben poco equi quanto spericolati e strafottenti di verità e rispetto delle altrui opinioni.
Arrabbiamoci con quelli che vogliono disporre della nostra vita del nostro futuro come dispongono spregiudicatamente dell’autenticità, usando frammenti di ipotesi, alchimie di conoscenze, mischietti statistici come un bancomat da cui trarre quel tanto che serve a puntellare tesi rischiose e ancor più pericolose iniziative.
Si cominio a pensare che anche l’ira e lo sdegno possano aiutare a trovare coscienza, la coscienza ferita dagli affronti e dalla nostra indifferenza e a riconciliarci con essa in accordo con noi stessi, gli altri e le leggi della nostra comunità umana.