Anna Lombroso per il Simplicissimus
Sembrava unicamente impegnato nei suoi affari spregiudicati di giorno e interamente dedicato ai suoi passatempi sfrenati la notte. Invece stava là sulla riva del fiume ad aspettare di veder passare i cadaveri della giustizia, della costituzione e di altri suoi nemici giurati: magistrati comunisti istituzioni dignità cultura istruzione. Insomma i valori, i principi e i cardini di una democrazia.
Eh si, era dal 1994 che si voleva togliere il sassolino dalla scarpa col rialzo, ma l’entusiasmo di prendersi una rivincita epocale ha avuto il sopravvento sulla sobrietà. Se questa riforma fosse stata confezionata in tempo debito, ha detto, avrebbe evitato l’operazione manipulite. Non avrebbe evitato tangentopoli, che quella ha potuto continuare e articolarsi secondo varie e innovative modalità, no, avrebbe fatto evaporare la sua punibilità e repressione.
I giornali titolano tutti allo stesso modo: è una controriforma epocale. Soprattutto sembra essere epica, perché segna il punto più eroico della guerra di una banda senza leggi né scrupoli, condotta contro la magistratura che impersona tradizionalmente il nemico dei criminali.
E che ha trasferito il terreno del conflitto da quello privato a quello pubblico maneggiando processi decisionali istituzioni poteri come fossero roba loro da piegare a interessi, a intimidazioni mafiose, a vendette. Di modo che a pagare non siano i colpevoli, ma chi giudica e magari anche le vittime.
Se poi a questo interesse privato si aggiunge un ennesimo ed energico schiaffo all’assetto istituzionale e alla Carta, tanto meglio, perché la muscolarità tracontante di questo governo si manifesta manomettendo e manipolando i capisaldi di una Costituzione incentrata su principi di uguaglianza dei cittadini, di equità , di sostegno alla partecipazione, di autorevolezza e decisionalità delle istituzioni democratiche e di autonomia dei poteri.
Che questa riforma costituzionale – che proprio per questo possiamo augurarci non passerà, pur mantenendo il suo carattere eversivo di spot finalizzato alla ritorsione contro i magistrati – sia un omaggio a trasgressori affini a quelli eletti sembra chiaro.
Nel dare un colpo ai giudici e uno alle vittime, il provvedimento si mostra per quello che è, non serve ad accelerare i processi né a dare certezza alla pena, confermando una tendenza già in atto, quella del cumulo dei benefici, e introducendo il principio di inappellabilità del proscioglimento. Esalta il principio della prescrizione, che lungi dal costituire una conclusione eccezionale e straordinaria, viene agitato sullo sfondo dell’iter processuale come un diritto ordinariamente accessibile all’imputato. Depaupera ed avvilisce il ruolo e la finalità primaria della funzione cognitiva dell’accertamento e della ricostruzione probatoria dei fatti, degradando anche l’attività della polizia giudiziaria. Incrementa la distanza della nostra disciplina dall’apparato di tutela riconosciuto dalle fonte convenzionali e sopranazionali. Rinvia ad atti successivi e improbabili la soluzione dei problemi organizzativi della macchina giudiziaria. Che costituiscono la vera area di crisi dell’amministrazione della giustizia: carenze di mezzi e personale, burocratizzazione, irrazionale distribuzione delle risorse umane e materiali, sperequata gestione dei carichi processuali e irrazionale geografia giudiziaria.
E d’altra parte c’era da aspettarsi da una combriccola di faccendieri disinteressati al rispetto delle regole, affezionati alle procedure sbrigative di chi ritiene che le leggi siano fatte per aggirarle, le tasse per essere evase e le istituzioni per essere svuotate e irrise, un intervento legislativo che ha il duplice effetto di avvilire la macchina della giustizia e dei suoi operatori e quello di blandire gli affini: quelli che trasgrediscono. Perché c’è proprio da pensare che abbia ragione il procuratore Gratteri quando definisce il ventilato rito abbreviato come un regalo alla criminalità organizzata.
Senza nemmeno entrare nel merito della vocazione punitiva nei confronti dei magistrati, comunisti e non, questo spot a favore del popolo di certi imputati “amici” segna una nuova e tracotante invadenza della cattiva politica, una esplicita e brutale manifestazione di “esercizio del potere”, autoritario, sopraffattore e pervasivo.
Metterei in guardia infatti quelli che parlano di ingresso della politica in sostituzione dell’amministrazione della giustizia. Queste prevaricazioni, queste invasioni non vengono dalla palestra della democrazia, sono la cifra della loro prepotenza, il cui manifestarsi va di pari passo con il dispregio delle regole, l’irrisione della legalità e di chi la rispetta, la prevaricazione di chi è forte coi deboli, la censura oscurantista esercitata su chi dissente, critica e denuncia. Quella non è giustizia è gestione dell’intimidazione e della vendetta. Quella non è la politica è una degenerazione del potere. Quello è il governo della paura, della minaccia e dell’iniquità. Dimostriamo di non meritarcelo.
L’emergenza Giustizia doveva semmai focalizzarsi sulla lotta alla criminalità organizzata. Da quanto sta emergendo la ndrangheta ha colonizzato la Lombardia introducendosi non solo negli apparati produttivi ed economici ma anche nelle istituzioni.
Significativo è quanto sostengono Lodato e Scarpinato nel loro libro Il ritorno del Principe, quando sottolineano “la necessità di un unico diritto penale processuale transnazionale per condurre indagini a livello planetario senza limiti e intoppi di barriere statali dei diversi ordinamenti”.Ragion per cui invece di concentrarsi su questa piaga che ci affligge si riunisce un CDM per capire come smembrare la macchina processuale della Giustizia a favore di un sol uomo che pensa solo a mettersi in salvo. L’Italia non è più il paese della democrazia,ma della corruzione e dell’ingiustizia che cancella con simili provvedimenti qualsiasi garanzia istituzionale. Bisognerà presto cambiare la dicitura “La legge è uguale per tutti” e sostituirla con la dicitura ti dico io come aggiustare tutto