Anna Lombroso per il Simplicissimus
C’è una fase nel processo evolutivo nella quale i bambini scoprono le “brutte” parole e giù cacca cacca culo culo. Mi chiedo se i social network non rappresentino esemplarmente il successo dell’iter di infantilizzazione del paese, fortemente voluto dalla cultura di governo che certamente preferisce un popolo di fanciullini annichiliti da tv consumi e disassuefazione alle visioni e alle aspettative di un futuro che vada oltre la prima serata.
Questo spiegherebbe la predilezione per l’invettiva rabbiosa, per il ricorso alla sopraffazione verbale che dovrebbe annientare virtualmente il nemico colpevole di pensarla altrimenti o di non essere fan di nuovi idoli. È successo a me che infatti tendo ad essere fan di personalità e intelligenze morte da un po’ e quindi meno spettacolari e meno consolidate, ma più rassicuranti. Spesso le indignate sono signore di buona penna, magari un bel po’ esuberante nella terminologia. Che mi ricorda la signore dalla letteratura in odor di femminismo commerciale, quelle inidonee a parlare di emozioni quanto Sallusti o Fede e che se rasentano il tema sessuale ci entrano poi dentro con le scarpe trasformando l’impiego del tempo e di noi stessi che vanta più tentativi di imitazione e certamente il più esaltante e delizioso in una descrizione di ginnastiche e ginecologie che potrebbero tranquillamente indurre a una desiderabile castità.
Si le donne sono rabbiose, alcune, molte, con buona pace proprio delle star della rivolta delle pentole, lo sono da diciassette anni e anche prima non è che fossero proprio contente.
Ma ciononostante mi sento di invitare tutte me comprese a dismettere il professionismo dell’invettiva. Trovo quanto mai piacevole essere un po’ sfrenate nel privato ma sul versante pubblico forse è preferibile l’impiego delle briglie della logica, della ragione e perché no? Della buona educazione.
Le cosiddette buone maniere non si limitano ad essere il convenzionale rispetto del galateo, l’adeguamento acritico a regole formali più o meno condivise. Sono invece di un insieme di comportamenti e di standard sociali inizialmente adottati dai ceti superiori, divenuti veri e propri indicatori per misurare il grado di civilizzazione: unità, stile, forma, compostezza, gusto, anche una certa organizzazione spirituale del mondo, omologa ed opposta a ciò che è avventuroso, scurrile, selvaggio, sanguinoso, pauroso.
Non occorre essere Elias per comprendere e valutare che sono quelle a misurare il grado di sviluppo di una civiltà. Ed infatti si sviluppano via via con lo spostamento della cosiddetta “soglia della ripugnanza”, per nascondere con pudore pratiche disdicevoli sgradevoli turpi sanguinose. Prima di tutto quelle della cucina. Le buone maniere occultano l’esercizio di mansioni e attività rivoltanti: disossare, fare a pezzi, macellare. E si trasferiscono nella tavola e oltre nel teatro della quotidianità, mondando abitudini e linguaggio.
Basta guardare cosa succede da noi: la destra al governo sembra aver sdoganato la maleducazione, intesa come il rifiuto delle buone maniere, preambolo alla negazione della civiltà…il disinibito presidente del consiglio ha con voluttà esibizionistica portato fuori dalla cucina della politica quelle pratiche che negli anni erano state occultate.
Per non parlare dei comportamenti personali e del linguaggio: dal celodurismo leghista, all’epiteto di coglione attribuito baldanzosamente agli avversari riottosi via via con tutto il vocabolario dle primato del postribolo.
Un linguaggio intriso degli ingredienti della sopraffazione, delle violenza, del sessismo, del razzismo che ha il suo palcoscenico privilegiato nelle risse dei salotti televisivi, ma che ha offerto prestazioni di un certo rilievo anche nelle aule parlamentari.
Altro che buone maniere: nate per “oliare” le frizioni sociali nelle corti e solo inizialmente adottate nei ceti privilegiati., per innervare successivamente l’intera società, ora non sono di moda presso la nostra classe dirigente. Come nel passato, la pratica della violenza irrispettosa delle regole, della prevaricazione verbale e non, della minaccia, diventano un appannaggio appunto delle tirannidi e dei dispotismi, incuranti di regole di civile convivenza……
Le parole sono pietre e le minacciose invettive rientrano nel quadro sinistro di un governo che erode la convivenza civile, annienta il dialogo, alimenta sospetti, avvilisce arti sapere e conoscenza, limita la libertà e umilia la dignità.
Alla volgarità di questa destra al governo, alla sua violenza irrazionale, alla sua sopraffazione non vogliamo opporre la forza tranquilla della ragione, la luce della libertà, la serena tenacia della civiltà? Annoverando tra questo contenuti, che continuo a pensare possano appartenere al “punto di vista” della sinistra, anche la “cortesia”, se essere cortesi significa empaticamente accettare e rispettare, e in ogni momento sublimare, le regole della società civile e del vivere in comunità, non solo come atto di rispetto verso gli altri e i diversi da noi, ma anche come manifestazione di deferenza verso se stessi e di riconoscimento della propria umana qualità.