Anna Lombroso per il Simplicissimus
Una delle colpe più ripugnanti che attribuisco al regime e alle forze di opposizione – che a questo proposito definirei, nella generale inclinazione all’eufemismo, “diversamente governative” – è di avere cucinato per noi a fuoco non troppo lento una gran marmellata, nella quale valori principi responsabilità e complicità, tutti insieme e tutti sapientemente mescolati, hanno come collante l’ingrediente zuccherino dell’ipocrisia, del benpensantismo e dell’indulgenza ecumenica.
Così da far diventare arduo l’esercizio libero del distinguere senza bigottismo e della critica senza pregiudizi, per non parlare poi di quello ancora più impervio dell’autocritica e dell’assunzione e condivisione di responsabilità.
È certo che una delle componenti piu’ potenti e corrosive del nostro deficit di democrazia sono il sessismo, il disprezzo per la donna, diventata una merce di scambio, il suo abuso non solo virtuale e il ricorso al suo corpo in vendita come merce di scambio, il commercio di favori sessuali come arma di ricatto e poderoso strumento clientelare, premio facile come i pacchi televisivi, ingrediente fondamentale delle mazzette e della corruzione.
Che questo possa accadere e sia stato finora accettato in un indulgente generale silenzio è il segnale che questa regressione culturale e civile ha attecchito in modo diffuso, alimentata da modelli ispirati alla reificazione, all’erosione di consapevolezza di diritti, responsabilità, dignità. E alla proposizione di riferimenti coerenti con un sistema amorale e mercenario, fatto di scambio di favori, affiliazione, competizione, consumo veloce di bellezza, corpi, relazioni.
Io resto convinta che si tratti di punti di vista che si sono radicati su un humus che è quello della destra, su un patrimonio culturale e ideologico formatosi nel tempo che oggi trova nuovo nutrimento e terreno di persuasione in un’opinione pubblica spaventata e sospettosa, ripiegata nella tutela dei suoi privilegi privati e dei suoi interessi individuali. E che, in un clima condizionato dal mercatismo, attribuisce il primato all’accumulazione di beni materiali al loro commercio e al loro consumo, compresi la sessualità e il corpo. Ed è ormai perfino banale attribuire allo strapotere televisivo e a una informazione manipolata e manipolante l’imposizione di modelli improntati al facile ricorso a scorciatoie avvilenti ma appaganti.
Si questo è lo stato delle cose. È vero che stereotipi tristemente persuasivi e immediati hanno saputo sostituirsi a visioni e utopie difficile e scoscese. È vero che abbiamo abbassato la guardia. Noi donne per prime.
Ma è altrettanto vero che spetta proprio alle donne riprendersi certe verità. Alzando la cortina fumogena dell’ipocrisia “di genere”. Sollevando la tenda di comodo dell’indulgenza pietistica che nel pentolone della marmellata attribuisce pari attenuanti e pari responsabilità a Ruby o al plotone di puttanelle del turpe tiranno e alle neo schiave del sesso che stanno davanti ai falò sull’Aurelia.
Così le donne italiane finiscono paradossalmente per essere rappresentate dalla d’Addario, sostenuta con sorprendente vigore come testimonial della verità da Lerner o dalla Carfagna, difesa da una De Gregorio inaspettatamente meno solerte con le figlie degli operai del si, sollecitate a acconciarsi a qualche bunga bunga. A pari merito con le operaie della Fiat o le combattenti di Terzigno. O con noi tutte, tutti i giorni.
Non siamo tutte uguali, non tutti soggiacciono alla regola dell’ubbidienza di comodo. Non tutto sono stati gaulaiter nei lager, non tutti hanno somministrato olio di ricino. Non tutte sognano di diventare un pacco dono, non tutte aspirano a fare le puttane del vecchio re, lavoro che sospetto essere più usurante anche se più remunerativo di quello della mondine.
La modernità ha molte controindicazioni, è vero, ma offre un’ampia gamma nelle scelte di vita per chi è nato nella parte più privilegiata del mondo. Negarsi la dignità ai miei occhi resta una colpa alla quale guardo senza indulgenza. Così come a volte è una colpa scegliere di essere vittime.
Che fila di netti giudizi…una sola osservazione: nei privilegiati Paesi del ricco occidente si può avere libertà di scelta ma non consapevolezza…e allora le cose si complicano: lei é mai caduta Anna? Mai accolto il dolore di chi é caduto? Non sia così ansiosa di distribuire giudizi netti…prima o poi si cade anche per inconsapevolezza, anzi soprattutto per inconsapevolezza….
Sicuramente le frequentatrici dei bunga-bunga non sono assimilabili in “son nostre figlie le prostitute che muoion tisiche negli ospedali”. Hai ragione, anche in questo c’è una scelta.