Le lacrime possono molto. Chi è riuscito a conservare l’ingenuità del sentire e non l’ ha barattata con quella della ragione, crede nelle qualità rivoluzionarie e liberatorie del pianto più che nella sua qualità assolutoria.

Così in quella fotonotizia dell’operaio che piange davanti a Mirafiori non ci leggo solo la disperazione per essere vittima di un ricatto dpo una vita di lavoro. Non ci leggo solo, nella sua amara filigrana, il fallimento della politica travolta da una realtà che non è più in grado di comprendere e di fronte alla quale non è che triste un fantasma.

Non ci leggo solo l’impotenza di fronte a uomini col maglioncino che barattano la propria borsa con la vita altrui, forti del fatto che altrove  hanno lacrime a costo più basso.

No, ci vedo anche il fulmine doloroso della consapevolezza: la scoperta di essere stati ingannati e venduti, di essere stati indotti a credere nel chiacchiericcio interessato della falsa modernità, di aver collaborato alla propria sconfitta. Le stesse lacrime della Sardegna e quelle sconosciute di chissà quante vite passate nel tritacarne, ma qui pantografate ai piedi della “fabbrica” italiana per antonomasia.

Forse, guardandoci bene dentro molti di noi si riconosceranno in quelle lacrime, nel disorientamento da cui sono nate, nella nuova chiarezza che denunciano. Forse dovremmo piangere tutti per riuscire a cambiare questo Paese