Ci si può indignare, ma non stupire. Quando la Cei ha pagato il suo prezzo a Berlusconi e gli ha detto, papale papale, che le gerarchie stanno con lui, si è trattato si di uno squallido mercato, ma anche di una consonanza interiore tra due poteri che hanno in comune la pretesa di non essere giudicati e messi in discussione.

Il primo dai giudici e dalle istituzioni repubblicane in nome di un popolo di fedeli, le seconde in nome di fedeli che ascoltano il magistero. Non è certo un caso che il Vaticano per respingere le accuse che vengono dalla Germania, ma un po’ da tutto il mondo, sull’insabbiamento e copertura dei casi di pedofilia, non abbia trovato cosa migliore che inventarsi l’idea di complotto. Esattamente come fa il Cavaliere.

Nessun tentativo reale di spiegare i fatti che del resto parlano da soli, ma la parolina magica “complotto” che affida tutto non alla ragione, ma all’appartenenza. Certo, per un capo religioso questo è molto più naturale che per il premier di un paese formalmente democratico. Tuttavia le parole di Benedetto XVI, che parla di “chiacchiere”, quando comunque è in gioco la sofferenza di migliaia di persone, sono state l’apoteosi dello spirito anti evangelico che pervade le gerarchie ecclesiastiche.

La teoria del complotto si rivela un puro pretesto proprio per i modi sprezzanti che vengono usati e che contraddicono la radice stessa dai quali nascono: la teoria di una pretesa superiorità morale, slegata ormai da ogni dovere di testimonianza. Esattamente come nella stessa città si pretende di essere al di là della legge in virtù di una supposta investitura popolare.

Ecco perché la Chiesa ci sguazza benissimo con il berlusconismo, come del resto si è sempre trovata a suo perfetto agio con tutti i regimi di destra: entrambi nascono dal disprezzo profondo verso la fede o verso il voto. O verso il popolo che dicono di amare.