Più le gerarchie ecclesiatstiche  tentano  di allontanare da sé  le accuse di aver minimizzato e coperto i casi di pedofilia sacerdotale, più nuove accuse e nuovi documenti si aggiungono a comprovarle. Lo stesso Papa e il presidente della Cei appena reduce dalla campagna elettorale pro Berlusconi, sembrano direttamente coinvolti nelle “distrazioni” al riguardo, tanto da far pensare che le severe posizioni prese nelle settimane scorse, più che a una sincera quanto tardiva indignazione, rispondano alla necessità di precostituirsi un alibi morale.

Un sospetto giustificato anche dall’evasività con cui il problema veniva affrontato ancora meno di un anno fa. Basterebbe leggere il discorso papale con cui il Vaticano si scusava per le migliaia di abusi e violenze avvenute in Canada. La pedofilia nemmeno viene citata.

Tuttavia la Chiesa, piuttosto che cercare difese un po’ deboli e spesso pretestuose, ha un mezzo molto semplice per dimostrare la propria buona fede e l’effettiva volontà di sradicare il fenomeno: affrontare subito le migliaia di casi pendenti, senza l’evasività tipica dei procedimenti chiesastici, reinterpretare il diritto canonico che vuole i vescovi del tutto irresponsabili rispetto a ciò che fanno i propri sacerdoti, interpretazione espressa non un secolo fa, ma appena nel 2004, non basarsi come unica fonte di notizie proprio su quei vescovi dichiarati “irresponsabili”, ma appurare le cose anche da fonti indipendenti. E infine rinunciare ad ogni intervento delle gerarchie e magari dei politici che ad esse fanno riferimento, ogni qual volta un sacerdote è messo sotto accusa dalla giustizia laica. Cosa che invece accade regolarmente.

In mancanza di questi passi la “tolleranza zero” espressa a parole sarà sempre meno credibile.

Tuttavia c’è anche un elemento strutturale che, secondo molti “ribelli” all’interno del mondo cattolico, favorisce la pedofilia, un elemento che è divenuto sempre più chiaro man mano che le gerarchie si sono allontanate dalle posizioni conciliari e si sono votate al recupero di un rapporto retrivo, acritico e non partecipativo tra il prete e il fedele. Una catechesi fatta non di dialogo, ma di risposte preconfezionate e premasticate. Questo porterebbe il prete a sviluppare con tutti i fedeli, ma soprattutto con bambini e adolescenti, un sottofondo narcisistico, precursore della pedofilia vera e propria.

E’ l’esatto contrario di ciò che il Vaticano sembra accennare e cioè che proprio il concilio avrebbe creato una maggiore libertà e dunque una più evidente propensione alla trasgressione. Ma anche alla distrazione, a quanto sembra.