Nell’Italia berlusconiana il furto di informazione non avviene soltanto attraverso il sistema dei media, ma per maggiore sicurezza lo si compie già alla fonte. Nei giorni scorsi uno studio della Banca d’Italia  stima un aumento degli affitti nel periodo 1998-2006  che si aggira, a seconda delle aree, in un range che va dal 40 all’80 per cento, contro il misero 23 rilevato dall’Istat  per l’indice dei prezzi al consumo.

Come mai tanta differenza?  Beh  intanto c’è da dire che l’ineffabile istituto fa un conto ben diverso se appena si esce dall’ambito del paniere: nei conti nazionali l’aumento degli affitti arriva al 55%.

Per il resto l’Istat comunica di non aver fatto errori, ma che nel suo campione di 8200 affitti,  hanno scarso  peso i nuovi contratti (quelli raddoppiati, per intenderci), ma contano molto di più i piccoli aggiornamenti annuali che appunto vengono chiamati “adeguamenti Istat”. Quando una casa cambia di inquilino solo in una limitata quantità di casi il nuovo canone entra nel conto e quando l’appartamento esce dal campione, lo si sostituisce con un altro già in affitto da parecchio tempo, in modo da tenere basso l’indice.

Questa non è una interpretazione: è quanto l’Istat dice infarcendolo di parole che dovrebbero scoraggiare il lettore dall’entrare in una materia così esoterica e fidarsi di quello che dicono gli esperti. Ma questo trucco linguistico (il famoso latinorum manzoniano) non riesce a nascondere il fatto che il metodo di rilevazione adottato porta di per sé ad una sottovalutazione degli aumenti reali. Cosa questa che naturalmente tiene oltretutto artatamente basso il livello di inflazione. Ma porta anche a una profonda deformazione della realtà che è fatta anche di potenzialità e di possibilità negate che questi dati nascondono.

Indovinate a vantaggio di chi?