Nadia Somma per Il Simplicissimus

Baldracche, mignotte, puttane, zoccole, prostitute e co: forse mai come negli ultimi mesi, gli epiteti che definiscono la professione più antica del mondo, è stato scritto o pronunciato da giornalisti, giornaliste, intellettuali, comici e comiche. Legato a vicende di cronaca giudiziaria o mondana. Epiteti che a me suonano comunque odiosi, non tanto per una questione formale di politically correct, o per antimoralismo, quanto per una riflessione sul rapporto uomini donne, sesso, denaro e potere.
Paolo Flores D’Arcais nell’articolo “Non si vede nessuna luce” pubblicato sul blog Antefatto, il 15 febbraio scorso, ripete la parola baldracche per riferirsi alle donne coinvolte nello scandalo sulla corruzione della Protezione civile; perché le baldracche questo sono: giovani donne. Luciana Litizzetto invece, sempre il 15 febbraio scorso nella trasmissione Che tempo fa, invocava seppur in chiave ironica e comica, il ritorno all’uso delle parole che definiscono le cose per quello che sono. Ha cominciato ad argomentare la sua tesi dicendo che: un cacciavite si chiama così perché toglie, svita le viti. Un cacciavite è un oggetto destinato a quell’uso; così come una donna che apre le gambe per denaro è destinata ad un uso sessuale, e quindi va chiamata per quello che è: mignotta. Non è affatto un caso che in questo paragone, (e la Litizzetto non è certo l’unica a pensarla così) la mignotta è paragonata ad un oggetto, una cosa che serve ad un certo uso sessuale;  del resto, lo stesso avvocato Ghedini in occasione della vicenda Berlusconi – D’Addario, non aveva parlato del presidente del consiglio come l’ utilizzatore finale di uno strumento sessuale: una escort?
L’epiteto baldracca, mignotta, zoccola, puttana, sgualdrina ed innumerevoli sinonimi, è stato, ed è tutt’ora, seppur con un peso diverso a seconda delle culture e delle epoche storiche, un  marchio di infamia ed emarginazione sociale. Si bollavano (e si bollano), o si irridono e dileggiano, le donne che danno prestazioni sessuali in cambio di denaro, ma anche donne ritenute sessualmente “libere” o “disponibili”: le donne “di tutti”, le donne che non appartengono o non si rendono disponibili per un unico uomo, in nome dell’amore o del rapporto coniugale.
Le severe leggi e regole morali imposte alla sessualità delle donne sono sempre state strumento di controllo e di  limitazione della libertà e della soggettività femminile: che fosse una sessualità imbrigliata nel vincolo della funzione riproduttiva, finalizzata alla procreazione dei figli e delle figlie, o una sessualità finalizzata al piacere sessuale (maschile), per secoli le scelte delle donne hanno viaggiato su questi binari: madre o puttana.
Il corpo per le donne, di fatto, è stato l’unica merce di scambio per sopravvivere nel mondo e al mondo, private come sono state, e nella stragran maggioranza dei Paesi sono tuttora, della possibilità di accedere al potere e al denaro: strumenti di dominio nel mondo e privilegi ancora largamente in mano  maschili.  Le condizioni cambiano, ma la cultura è dura a cambiare, e  il corpo delle donne  come  merce di scambio,  continua talvolta, ad essere proposta dalle donne e pretesa dagli uomini, anche quando non è più necessario alla sopravvivenza o anche al di fuori della relazione meramente mercenaria.
Ma tornando alle donne di tutti e di nessuno: “le puttane” che siano giovani donne immigrate o italiane che danno prestazioni sessuali sulle  strade, in casa propria, nei centri benessere o nelle palestre; quelle donne che  non si ritiene possano appartenere a se stesse, ed avere una soggettività, essere appunto, persone. Puttane cercate e desiderate da milioni di uomini di notte o di nascosto, e da quegli stessi uomini, subdolamente, ipocritamente disprezzate di giorno o pubblicamente con la parola-sfregio che le riduce  ad una cosa: insulto finale ed estremo con il quale sono messe al loro posto, proprio come gli oggetti..  E’ per questo che l’epiteto puttana e tutti i suoi sinonimi mi sono particolarmente odiosi: le parole danno forma ai nostri pensieri, e condizionano i nostri modi di relazionarci col mondo e con le persone. Mi domando che tipo di relazione posso avere con una persona nel momento in cui la definisco privandola  della sua soggettività e la percepisco come cosa? La violenza e non solo quella verbale è uno degli aspetti delle modalità con le quali ci si relaziona personalmente o socialmente alleputtane. Non è una questione che si risolva con l’uso di parole diverse e politicamente corrette: quanto più è odioso l’insulto tanto più è illusorio coniare nuove parole. Forse occorre semplicemente più rispetto.