Bei tempi quando si poteva scherzare di Berlusconi, stemperando la collera per le sue politiche piduiste dentro il caleidoscopio buffo e inverecondo del suo repertorio di bugiardo compulsivo, puttaniere, barzellettiere ed espressione della buffonerie nazionale. Oggi purtroppo tocca essere noiosi perché gli uomini in grigio perseguono gli stessi obiettivi, ma schermandoli dietro una presunta serietà. Che è reale se  la si prende come espressione di servizio incondizionato alla finanza e alle oligarchie autoctone, ma è solo fumo negli occhi se la si volesse prendere come tentativo di fare qualcosa di conforme agli interessi del Paese e del suo popolo.

Quindi sarò noiosissimo e alla domanda del perché si voglia giubilare l’articolo 18, voglio per prima cosa sgombrare il campo da tutte le fesserie che il governo dice, che i media ripetono a pappagallo e perfino alcuni ex partiti vogliono far finta di credere. Non è assolutamente vero, per esempio che l’articolo 18 l’abbia solo l’Italia e sia la ragione di una rigidità  del mercato del lavoro che ci penalizza. In altre forme, anzi, molti Paesi tutelano i lavoratori contro i licenziamenti individuali in maniera molto più rigorosa ed efficace. Quindi vi mostro un diagramma fatto stamattina servendomi dei dati Ocse sulle difese contro i licenziamenti. L’ho voluta però arricchire inserendo una seconda linea che per i Paesi presi in considerazione   mostra il livello di disoccupazione. Immediatamente si vede subito come fra le tutele e il livello di disoccupazione non ci sia alcuna correlazione e che anzi se una qualche relazione c’è essa è esattamente contraria: man mano che diminuiscono le tutele la disoccupazione tende a salire. Nessuna sorpresa però:  infatti è proprio per questo che  si sta facendo la guerra all’articolo 18, come mi propongo di dimostrare.

 

Come si può vedere l’Italia è agli ultimi posti anche con tutto l’articolo 18 (c’è anche una previsione Ocse riferita alla sua eliminazione) ma il suo tasso di disoccupazione ufficiale, già ampiamente sottostimato,  è superiore a quello di molti Paesi con tutele assai più incisive.

Quindi bisogna togliersi dalla testa i mantra banali con il quale questa tesi viene venduta: lo sviluppo e l’occupazione. Del resto non ci sarebbe nemmeno bisogno di statistiche internazionali per comprendere la menzogna che ne è alla base: già oggi le ampie zone del Paese dominate dalla criminalità in collegamento con i poteri pubblici, dove statuto dei lavoratori e contratti collettivi sono puro flatus vocis sono anche le zone a più alta disoccupazione.

Domandiamoci dunque quale senso abbia la rigidità assoluta sull’articolo 18, visto che non può essere quello presentato. E domandiamoci cosa va a vendere Monti fuori dei confini come un commesso svenditore, come giustamente dice Anna Lombroso. Un fatto molto semplice: va a vendere un Paese con salari e stipendi destinati a un calo drammatico, grazie al quale si dovrebbe recuperare competitività. Insomma ciò che una volta si faceva sulla lira con la svalutazione, oggi lo si fa sui lavoratori. Niente a che vedere con la competitività vera che è fatta di qualità e di innovazione, tutte cose alle quali per pigrizia, incapacità o semplice avidità la nostra imprenditoria non è vocata e nemmeno ne ha avuto  il minimo stimolo, ma solo lavoro di basso livello per bassi salari. Non c’è alcun dubbio infatti che quando cresce il livello di ricatto sul posto di lavoro, quando si punta a contratti puramente aziendali, quando si può chiudere e riaprire a nuove e peggiori condizioni e con meno personale, quando la disoccupazione cresce, il destino è quello del declino sempre più rapido dei salari.

Questo, com’è accaduto in Grecia e in Portogallo e in molte altre situazioni extraeuropee,  non fa altro che deprimere il mercato interno e aumentare il disavanzo dello Stato innescando un circolo vizioso e inducendo a mettere in saldo – per necessità – i beni pubblici. E’ esattamente questo che il commesso svenditore va a far sapere in giro: che ci sarà un calo dei salari, che sarà disponibile per pochi soldi molta manodopera espulsa. E che, quando in tarda estate, si capirà che i conti promessi all’Europa non tornano, si aprirà la mattanza delle società a partecipazione pubblica e dell’acqua.

Ecco perché il governo si ostina, senza ragioni apparenti a giubilare l’articolo 18 che è in realtà il fulcro della sua azione, mentre la canea dei media i cui proprietari sono direttamente interessati a queste operazioni (vedi Sorgenia – Gruppo Espresso) impongono di minimizzare o di confondere le acque con paccate di miliardi inesistenti. E mentre una politica allo sbando cerca di trovare alibi per sé e per la propria sopravvivenza, per il proprio, personale articolo 18.