Lo abbiamo visto tutti il Dalai Lama sbaciucchiarsi in bambino e invitarlo a un lingua in bocca tra il plaudire di monaci e astanti. Ma per carità non voglio fare il moralista, specie per quanto riguarda il capo di una setta molto attenta ai bimbi visto che potrebbero portare, ben nascosta tra i frigni, la “saggezza oceanica”  segno inequivocabile di essere la reincarnazione del Dalai Lama precedente;  mi interessa invece analizzare come il capo del buddismo tibetano, assolutamente marginale dentro questa cultura – religione, sia stato trasformato dalle amministrazione americane in una sorta di papa colorato da portare in giro, da esibire in qualunque occasione si ritenga opportuna un pizzico di sedicente spiritualità, cruna dell’ago di un presunto movimento per la libertà tibetana, con tanto di costituzione custodita in India e testimonial hollywoodiani. E’ stata la prima forma di ” guerriglia” mediatica che gli Usa hanno opposto alla Cina di Mao, ma è stata anche una delle prime bugie geopolitiche della guerra fredda. Il Tibet, definizione geografica dai confini incerti, ma fin dal Seicento considerato una provincia del celeste impero è stato dominato con mano ferra dai monaci, che vi hanno sempre esercitato un potere untuosamente e ieraticamente tirannico, Se andassimo a leggere davvero la costituzione di cui si favoleggia e diciamo così, redatta nel dopoguerra da questo Dalai Lama potremmo tranquillamente vedere che essa non ha nulla a che fare  con la libertà e con la democrazia , ma è quella di uno stato teocratico assoluto e arcaico nel quale gli ordini monastici hanno tutto il potere e la successione dipende dalle incarnazione dei Lama. Tuttavia questo contesto  non è mai emerso in superficie e ci si è limitati a aborrire la Cina che avrebbe “occupato “il Tibet  quando la stragrande maggioranza della popolazione è cinese, senza dire che nel 700 furono proprio le truppe cinesi a sconfiggere i britannici  che volevano impadronirsi della regione. Che insomma esiste un legittimità cinese interrotta dalle vicende della fine dell’impero e in seguito dalla lotta tra i signori della guerra e Mao, espressione delle immense masse contadine della Cina.

Non è certo un caso  se tutte le le proteste che si sono svolte in Tibet nel dopoguerra , immancabilmente generate dagli Usa e dai britannici  hanno come protagonisti i monaci, mentre la stragrande maggioranza della popolazione, tibetani compresi,  guardava a Pechino come fonte di progresso economico. Ecco perché alla fine tutto si è placato anche  ogni tanto i monaci  fanno qualche azione di protesta che viene spacciata come moto spontaneo della popolazione tibetana  la quale invece da almeno un ventennio è oramai estranea a queste rappresentazioni, anzi apertamente ostile ad esse visto che investimenti, ferrovie, strade hanno ridato un po’ di vita al tetto del mondo. Ma anche questa ovvietà è vietata ai cittadini occidentali, cui biene servita da ormai due terzi di secolo una scialba minestra anticinese.

Non è mia intenzione parlare della storia di questa regione che è così intricata e complessa, seguendo anche i destini della Cina, che occuperebbe troppo spazio e tuttavia viene spontanea la domanda su come sia stato possibile che il capo di una piccola setta buddista sperduta fra le più alte montagne della terra e sostanzialmente estraneo agli influssi occidentali  abbia in qualche modo accettato di fare l’uomo di paglia dell’impero americano , accettando la funzione di capo di un fantomatico governo in esilio. Una cosa sarebbe combattere un regime che si proclama ateo, anche se non impedisce i numerosi culti presenti sul proprio territorio e sarebbe persino comprensibile  il fatto che  monaci e per così dire l’apparato religioso lottino per restaurate i propri privilegi, ma l’accettare di essere il soggetto di una propaganda imperialista anticinese, è un  altra cosa, perché semplicemente costituisce solo un cambio di padrone, cosa che peraltro distingue l’opposizione politica e sociale da un fenomeno tipico del dopoguerra, ovvero la dissidenza che è un’opposizione in conto terzi. Ad ogni modo questo è stato possibile perché il XIV Dalai Lama ( nato peraltro in territorio cinese)  ha invece avuto una formazione  on cui l’influsso dell’occidente si è fatto sentire moltissimo, attraverso un personaggio molto noto alla fine degli anni ’30 tempo, l’alpinista austriaco Heinrich Harrer, Questo personaggi conosciuto  per essere stato il primo a scalare la parete Nord dell’Eiger, nonché per essere marito di Charlotte Wegener, lo scienziato  che per primo formulò la teoria della deriva dei continenti, alla vigilia della guerra fece parte di una spedizione tedesca in Kashmir,  ma una volta scoppiato il conflitto fu arrestato perché l’India era un possedimento britannico. Fuggito dalla prigionia finì in Tibet dove diventò fotografo e traduttore ufficiale del regime nonché tutore del Dalai Lama  al quale insegnò l’inglese, la geografia e alcuni rudimenti di scienza. Se andò solo nel 1950 dopo il ritorno dei cinesi, affidando la sua esperienza a un libro, Sette anni in Tibet

Forse desterò un certa soprese apprendere che Harrer era membro delle Sa austriache prima dell’Anschluss di Hitler, mentre subito dopo la fusione con la Germania divenne membro delle SS,o che la spedizione in Kashmir fosse stata organizzata e voluta da Himmler per scopi propagandistici. Insomma ecco con che parte dell’occidente è venuto a contatto l’attuale Dalai Lama ed è forse per questo che si è dato mani e piedi a fare da ” sacerdote” dell’eccezionalismo  e dell’imperialismo americano. E chissà magari cerca contatti impropri con un’innocenza perduta da troppo tempo non essendo mai riuscito a raggiungere la saggezza.