Anna Lombroso per il Simplicissimus
C’è una foto che circola in rete e che ritrae l’ex ministra Bellanova, intenta, si direbbe, a un karaoke dedicato al suo attuale leader di riferimento compiaciuto che se la rimira.
I due, è bene ricordarlo vantano un primato nella veste l’uno di Ministro e l’altra di Vice Ministro dello Sviluppo economico: nel 2018 lasciarono un’eredità di 162 tavoli di crisi aziendale con più di 180 mila lavoratrici e lavoratori in cassa integrazione, a spasso, espulsi definitivamente dal lavoro. Tra questi con la correità dimostrata della Camusso, oggi candidata, firmataria per parte sindacale di un empio accordo, permisero il licenziamento di 1666 dipendenti di Almaviva.
Sempre in questi giorni abbiamo dovuto sopportare il titolo del Sole 24 ore.
Rammentiamo per le memorie corte l’orgoglio con il quale sempre la Bellanova, che abbiamo dovuto perfino difendere da chi l’attaccava impropriamente per stazza e falpalà, si vantò del successo della trattativa condotta con la Whirpool. Ebbene adesso veniamo informati che il manager che si aggiudicherà l’award interno, quello che premierà chi riuscirà a chiudere entro il 30 giugno 2024 alcuno stabilimenti dell’azienda in Europa e Africa, avrà un bonus di tre milioni di euro. A rischio in Italia oltre allo stabilimento ormai decotto di Napoli, potrebbe esserci quello di Cassinetta di Biandronno, già condannato nell’ambito di quella che viene definita una necessaria “revisione strategica”.
E ancora, abbiamo anche dovuto sopportare il festoso titolo dell’Ansa – e il giubilo dei colonizzati – poi ripreso da molte testate quotidiane: buone notizie per Pernigotti di Novi Ligure, acquisita da Jp Morgan impegnata a salvare il cioccolato piemontese “esternalizzando in Italia”.
Ben prima del 2000 giunti alla fine di un secolo breve troppo lungo, ci si è interrogati su come sarebbe stata il Lavoro in una società senza lavoro, quando i partiti e movimenti che dovevano testimoniare e rappresentare la classe lavoratrice avevano tradito la loro vocazione, quando si cominciava a profilare l’affermazione in tutta Europa della Destra, a conferma che in uno scorrere del tempo scandito da ere e ventenni fosse ormai arrivato quel momento.
E’ perfino banale dire che l’intento era chiaro, far intendere che il pericolo fosse costituito dalla Le Pen, da Trump oltreoceano, dai governi di Polonia e Ungheria, dall’impresentabile Salvini che se non c’era bisognava inventarlo in modo da aiutare a distinguere buoni e cattivi, giusto e ingiusto, a dimostrazione che i partiti di destra ricevono più voti perché proliferano i razzisti, gli xenofobi, gli omofobi, i sessisti, i reazionari, indicando tra i rischi – insiti nel populismo – che i governi che compiono la scalata possano abolire la divisione dei poteri, avocare a sé il controllo della giustizia dell’informazione, creare condizioni eccezionali che giustifichino la cancellazione di diritti e prerogative, insomma tutti quegli atti che dobbiamo a Macron, ai commissari collocati a palazzo Chigi, manovrati dal portiere gallonato di Davos.
E così otteneva l’atteso successo la spiegazione offerta da chi aveva scelto l’appartarsi, il ritiro “perché tanto non c’è alternativa”, i progressisti neoliberisti insomma, quella secondo la quale sceglie la destra chi preferisce soluzioni antidemocratiche e autoritarie, chi esercita il respingimento, chi condanna contributi e aiuti sociali, l’opinione cioè di una cerchia che qualcuno fa ammontare a circa un quinto della popolazione europea, fatta non solo di risentiti e trascurati che da tempo vengono criminalizzati aprioristicamente come non fossero mai abbastanza rispettabili, è vero.
Ma anche invece di cittadini probi disillusi e rancorosi per via di promesse di benessere tradite, e che vanno a costituire una maggioranza brontolona, conservatrice e mediamente benestante, malgrado ogni tornata elettorale confermi che si tratta di lavoratori dipendenti, operai occupati a basso reddito, disoccupati.
E aggiungeteci i tanti della classe lavoratrice retrocessa a disagiata, indicati come i nuovi parassiti a ricasco, che cercano di rimestare negli anfratti dell’assistenzialismo, che pesano sul welfare dissanguato perché non possono approfittare delle assicurazioni private, che vogliono lavorare poco, guadagnare tanto e spassarsela almeno quanto Sanna.
Non c’è da stupirsi se perfino a questo blocco ormai delegittimato, cui di chiedono obbedienza, sacrifici, penitenze per espiare le conquiste di nonni e padri, viene posta la scelta moralmente obbligata tra la Destra (ma per carità, non osate chiamarla così) rappresentata dal manichino della pietas che serve la pizza agli autistici che invece hanno bisogno di spazi, aiuti alle famiglie, sostegno professionale, futuro, e l’urlante impresentabile borgatara affrancata grazie all’uso non certo più maldestro della cassetta degli attrezzi della vecchia politica e pronta a portare acqua a voti di sostegno in veste di credibile alleata di maggioranze boccheggianti.
Le opzioni sono quelle della bislacca e irriguardosa campagna elettorale del Pd: minestra o finestra, che in sostanza significa votare la Destra becera o non votare, ripiegare sul male minore che perfino quello stavolta ha preferito disertare, o mettere la croce su quelli conclamati, al di sopra di ogni sospetto sulla loro natura tossica.
L’Italia del 26 settembre sarà tutta comunque ringhiosa, diffidente, frustrata, come non può che essere in un paese ormai precarizzato (dal 2000 a oggi grazie al Pd, alle sue leggi, all’abiura del sindacato, al tradimento delle organizzazioni e dei partiti che dovevano rappresentare interessi e bisogni dei sommersi, dei disagiati, degli espropriati di diritti, garanzie e prerogative, sono state adottate oltre 50 misure di legge per favorire l’instabilità, la dipendenza da patti arbitrari e iniqui, in una parola, la Precarietà) dove in condizioni di necessità non possono esserci libertà, autonomia di giudizio e di scelta.
C’è da star sicuri che verrà rispolverato il repertorio caro al riformismo che vuole declinare la guerra a tutti i livelli per commerciare in ogni tipo di armi e trarne lucro, bombe e inimicizia, artiglieria pesante e revanscismi. A maggioranze senza voce verrà offerto un palco dove gridare contro i benefici dei quali godono altri, immigrati nelle liste dell’occupazione o per la concessione di case in affitto, i soldi e i telefonini ai disperati appena sbarcati grazie alla lungimirante compassionevole politica di accoglienza che si mette d’accordo con gli scafisti e il personale specializzato delle ong di Soros.
In fondo ha funzionato con l’austerità in tutte le sue forme, quando nel 2011 durante il “semestre europeo” si è presentata l’occasione per la Commissione di agire direttamente sui bilanci preventivi nazionali e è stato allora, durante quei sei mesi, che è stato chiesto ai partner di tagliare le risorse per la sanità e accelerare la privatizzazione degli ospedali e delle strutture e infrastrutture della sanità. La maggior pressione è stata esercitata su Spagna e Italia, con i risultati che sappiamo, prima durante e dopo le varie gestioni commissariali dei golpisti incaricati da Bruxelles.
E intanto si preparava la gestione autocratica della Troika che sforbiciava pensioni e salari minimi con le cesoie messe in mano ai suoi sicari locali di fiducia. Ma che non fermava a quello, in concorso perfino con la Corte di Giustizia, che paradossalmente si chiama così anche se è opportuno rammentare che sempre in quel semestre, dichiarò illegali gli scioperi dichiarati dai dipendenti di aziende finlandesi che avevano denunciato un contratto che aggirava garanzie ottenute in anni di lotta.
Non ci sono più equivoci, sappiamo bene da che parte sta la classe ancora agiata, da che parte si sono schierati i suoi chierici, chi è l’Europa e quali i suoi sacerdoti, le loro menzogne sono rivelate. E noi non abbiamo più scusanti. (3. Fine)