Anna Lombroso per il Simplicissimus

Non c’è romanzo di fantascienza, non c’è colossal apocalittico sul prevedibile futuro  nelle nostre città alle prese con la transizione da megalopoli a necropoli, che non descriva l’irruzione nelle strade di belve, specie animali delle quali avevamo rimosso l’esistenza confinandole in remote geografie e riserve dove segregare i ferini che minacciano la civiltà.

Si vedono branchi affamati e belluini, irsuti e ripugnanti avventarsi  e avere la meglio su passanti armati di vani laser e cyberspade, dilaniarli, correre su per le scale di torri di cristallo sulle quali si specchia  una contemporaneità impotente e dissipata.

A ben pensarci però il contesto è diverso, quelle metropoli sono quelle che immaginiamo da quando stiamo perdendo la memoria, rimuovendo la nostra storia per proiettare nel nostro immaginario una immanenza di cartapesta, nella quale è facile cancellare simboli, ricordi che potrebbero far riaffiorare pensieri di libertà, di pensiero libero, di creatività, quei valori che sono proibiti al capitale umano che deve macinare profitto da offrire come sacrificio ai grandi costruttori della nostra catastrofe.

Le immagini delle torme di cinghiali a Roma indisturbati come presenze ormai domestiche, tanto che qualche passante mostra indulgente tenerezza per l’amor materno della sus scrofa che porta a spasso i cuccioli nel parcheggio del supermercato, purtroppo la stessa tolleranza che dimostra per l’appartenete alla specie dei primi cittadini che vantano impotenza perché le città sono da sempre sull’orlo del fallimento indotto da cattiva gestione, coazione a ripetere delle procedure più folli di indebitamento tramite sottoscrizione di titoli tossici, fondi, resa al racket e ai suoi vincoli disonorevoli.

Gli stessi, cioè,  che nascondono incapacità e inadeguatezza dietro alla concessione generosa di beni comuni, aziende di servizio, proprietà immobiliari al sistema privato con il quale trattano ogni giorno i termini di una urbanistica retrocessa a negoziato tra amministrazione e speculatori, imprese immobiliari e del turismo, app addette a esaltare la missione di tradurre in pratica la gentrificazione, quel processo secondo il  quale è nelle buone regole dello sviluppo cacciare i residenti dai centri storici per consegnarli a  un terziario del lusso, alla rete dei B&B, agli svuotatori di immobili per riempirne l’involucro scheletrico con loculi in serie a disposizione di reti alberghiere, foresterie di banche e imprese, residence per turisti non sufficientemente altolocati per avere diritto a enclave esclusive e relais appartati.

Sono passati più di 60 anni dalla pubblicazione di  Vita e morte delle grandi città. Saggio sulle metropoli americane di Jane Jacobs diventato un classico per due caratteristiche, l’analisi impietosa dei danni di una pianificazione irrazionale, regolata dalle leggi del mercato, e l’approccio profetico che fece immaginare già allora l’apocalisse che abbiamo permesso di verificasse.

Altro che città del Sole, altro che Utopia, l’indole profetica di Jane Jacobs è stata superata dalla realtà distopica della quale hanno preso atto perfino le grandi organizzazioni che decidono per noi priorità, gerarchie di diritti in cima ai quali oltre alla salute va collocata la “sicurezza” intesa come controllo sociale, criminalizzazione degli ultimi per rassicurare i penultimi, repressione esercitata per marginalizzare dissenzienti, eretici, critici.

Da anni Onu, Fmi, mettono in guardia contro il rischio di una guerra a bassa intensità che avrà come teatro le metropoli, dove i residenti di ghetti di lusso dotati di dissuasioni violente, di polizie private, oltre che di leggi propizie alla difesa a oltranza della proprietà sono autorizzati a condurre una guerriglia dentro la guerra a alta intensità che è già cominciata su vari fronti, uno tradizionale, quello ucraino, certo. E  gli altri, quello che ha usato una pandemia per ridurre alla fame e cancellare un tessuto di attività che era quello portante sul quale si basava l’economia Italiana e europea, per imporre una controeconomia delle multinazionali, delle piattaforme, dell’industria farmaceutica e bellica, e che oggi impiega il conflitto mosso dall’impero per estendere il suo dominio e imporre la sua perversa morale fatta di guerre giuste, di armi buone, di fame e morte meritate da chi non sa adattarsi e accedere a un benessere disonorevole, senza dignità, senza rispetto, senza umanità.

Non chiamiamole bestie, quei cinghiali in lotta per prendersi Roma, ormai la carcassa è stata sbranata da eccellenti umani.