Non c’è  niente di più risibile e di più falso che l’appello a una mitica “scienza” divenuta nel tempo della peste sapere esoterico distribuito agli ignari fedeli dai media. La scienza in realtà non esiste per l’uomo della strada, è soltanto l’ombra proiettata sulle pareti della caverna da una comunicazione esclusivamente guidata dagli interessi e dal denaro. E gli scienziati stessi hanno imparato a sfruttare questo meccanismo e in una parola a stare al gioco. Questo è ciò che chiamo declino cognitivo che si esprime in tutto il suo oscuro splendore proprio quando qualche informatore profano recita le obbligatorie orazioni alla scienza e naturalmente prende le distanze dal “complottismo”: non c’è nulla di più patetico che gli atti di fede di chi non crede in nulla se non nella banalità quotidiana e spesso rivela di avere un modestissimo quoziente intellettivo. Ma dentro tutto questo c’è qualcosa di più e di stupefacente, ossia un ritorno al pensiero magico che non pensavo potesse diventare una reazione di massa. Da ragazzo avevo letto qualcosa di Levi- Bruhl secondo cui la magia sarebbe una forma di pensiero primitivo e pre-logico, basata sulla «legge di partecipazione», che differisce dalla mentalità moderna dell’uomo occidentale, le cui rappresentazioni sono invece dominate dal principio dell’identità personale, rigorosamente distinta dalle altre individualità e dal mondo fisico. E anche Ernesto De Martino aveva messo l’accento sui fenomeni spersonalizzanti delle pratiche sciamaniche, ma uno non si aspetta di certo, mentre sale la numerazione dei secoli, di dover assistere in concreto al dispiegarsi di questi fenomeni: si immagina sempre che essi possano concretizzarsi in qualche sperduto villaggio in mezzo alla giungla.

E invece eccolo qui il mondo primitivo sotto forma di rituale apotropaico consistente nella vaccinazione: tutti i dati ci dicono che essa non serve assolutamente a fermare i contagi anzi questo è detto a chiare lettere dalle stesse multinazionali che producono i preparati genici. E tuttavia l’essersi fatti due o tre dosi è diventato indispensabile per poter condurre una vita sociale e lavorativa. Da un punto della ragione non ha alcun senso e dovrebbe suscitare una ripulsa e una rivolta generale, se non ci fosse troppi miserabili ipocriti che sperano di trarre vantaggio dalla situazione, ma invece lo ha se lo si considera come un rito collettivo destinato a proteggere dagli eventi avversi o incontrollabili e ristabilire la fiducia psichica in se stessi. In effetti non vaccinarsi significa sottrarsi ai rischi di un atto completamente inutile e dannoso visto che ci sono stati più casi da quando è stato introdotto il vaccino rispetto a prima, ma contemporaneamente significa anche rinunciare a una  sorta di espiazione  collettiva destinata a placare il destino, visto che dei qui non ce ne sono.  Naturalmente tutto questo viene sfruttato dal potere per sdoganare strumenti di stretto controllo della popolazione e smantellare le democrazie, ma si basa su un sentimento potente che è stato consolidato grazie a due anni di paura, ma che è stato lentamente costruito dentro il nichilismo neoliberista. Probabilmente la maggior parte delle persone non ridotte a minus habens dalla televisione  sa che i cosiddetti vaccini sono rischiosi e possono avere effetti a lungo termine imprevedibili, sa anche che la loro efficacia è quantomeno dubbia e che la teoria della pandemia dei non vaccinati è ridicola solo a sentirla, ma sospetta dei non vaccinati come di coloro che non partecipano a un’atto di redenzione collettiva.

Siamo di fronte a una chiara regressione e sebbene gli antropologi funzionalisti come Malinowsky pensino che elementi magici si accordino comunque con le conoscenze tecniche e razionali di una società qui l’investimento emotivo e magico sembra davvero debordante: paradossalmente proprio l’inesistenza di una vera e importante malattia da cui difendersi  realmente finisce per liberare i sentimenti più irrazionali e un’occasione per liberarsi nel momento e nel modo sbagliato di un senso di isolamento e di mancanza di comunità. La partecipazione a un rito penitenziale di massa crea l’illusione di aver ritrovato gli altri. Ma è tutta polverina mediatica, leggera ed equivoca, fumo negli occhi che tra un po’ provocherà le lacrime delle inconsapevoli vittime.