Anna Lombroso per il Simplicissimus

Proprio come nella nota barzelletta me lo immagino che convoca Gelmini, Brunetta, Orlando e Speranza e: andate avanti voi che a me viene da ridere, dice incaricandoli di trasmettere al popolo bue le ultime decisioni prese nell’interesse generale.

E ci credo che gli venga da ridere ipotizzando quali altri vertici potrà toccare la ridicola escalation di ferocia insensata, crudeltà ingiustificabile, repressione efferata che ha  immaginato per noi, unico Paese in Europa, ultimo rimasto a introdurre  vessazioni, discriminazioni, censure e persecuzioni che non hanno nessuna motivazione di carattere sanitario.

È spettato all’improbabile quartetto tradurre in precetti la serie di obblighi che devono essere ottemperati in applicazione della tessera “annonaria” concessa a chi ha usufruito della distribuzione del vaccino e che gli concede l’appartenenza al consorzio civile.

Grazie a loro ora sappiamo che è legale se non legittimo che dal  15 ottobre al 31 dicembre, l’ingresso di 23 milioni di soggetti n qualsiasi luogo di lavoro pubblico è privato è condizionato dal possesso e dall’esibizione del green pass, il documento che si ottiene benevolmente già con la prima dose di vaccino, a dimostrazione della volontà di uniformarsi  alle regole. Gli sventurati che confermano con l’esperienza personale che il prodotto non possiede i requisiti richiesti per essere un “vaccino”, i  bivaccinati, cioè, che contraggono il Covid, una volta guariti hanno un green pass esteso a 12 mesi; stessa cosa per i monovaccinati, ma devono passare 14 giorni tra la prima dose e il contagio, così l’aver contratto il virus dopo il vaccino li esonera dalla terza dose.

Se ci si ostina dissennatamente a non vaccinarsi, serve il tampone, e la novità è che, se è molecolare, ha un validità di 72 ore, mentre quello rapido (antigenico) resta a 48, che costa  8 euro per i minori e 15 euro per gli adulti.

I codardi che temono la punturina e le sue repliche, che si sono arruolati nell’esercito dei cospirazionisti, pagano la loro irragionevole diserzione  con la sospensione del rapporto di lavoro e dello stipendio dopo 5 giorni di assenza “ingiustificata”, una pena che per i dipendenti del privato scatta invece dal primo giorno. Chi viene “sorpreso” e stanato senza green pass sul posto di lavoro — pubblico o privato — rischia sanzioni da 600 a 1.500 euro e comunque non ha diritto  a ricorrere allo smart working, perché come ha detto il ministro Brunetta:  «Tutto il lavoro deve essere, il capitale umano non può restare bloccato in casa».

Ovviamente sono i datori di lavoro che devono eseguire i controlli, loro spetti o tramite soggetti selezionati e incarica in veste di “pubblici ufficiali”, un equilibrismo semantico per definire la conversione di capireparto, portieri con l’istinto alla delazione già dimostrato nella storia, addetti alla sicurezza, in vigilantes senza riconoscimento di straordinari, sbirri e kapò.

Ma non vi sfuggirà che il controllo è incrociato ma non reciproco: c’è da dubitare che qualcuno abbia l’ardire di esigere l’esibizione del salvacondotto all’Ad di Conad che vuole collocare in aspettativa non pagata i dipendenti non vaccinati, che la colf della signora del generone sia legittimata a pretendere che la sua datrice di lavoro sfoderi le credenziali sanitarie, o che lo possa fare il lavapiatti in servizio presso Cracco, efficace interprete di spot profilattici.

Anche questo dovrebbe far intendere a chi non vuol sapere che il green pass non possiede alcun intento “sanitario”, ma instaura a norma di legge un regime di controllo e discriminazione arbitraria che ci si propone di estendere, se Enrico Letta auspica  che  chi non è munito di GP non acceda alle urne elettorali, se fino ad oggi i parlamentari non erano tenuti al possesso e alla presentazione per entrare nelle sedi istituzionali, così come è facile immaginare che funzionari gallonati non eseguano le procedure di accertamento al Consiglio dei Ministri o nei Gruppi dei fanatici del capitalismo della sorveglianza.

E quindi se ci ha consolato che qualche voce autorevole si sia manifestata contro il tesseramento, non conforta che il contrasto al vergognoso strumento di discriminazione debba ormai essere preceduto e accompagnato dall’ostensione delle referenze vaccinali e dalla sollecitazione all’obbligatorietà  delle somministrazioni, 1, 2 e 3, come vanno facendo Berbero e Montanari, pur con qualche perplessità relativa ai possibili danni a carico dei minori.

Perché se è vero che il green pass, come sostengono loro stessi, mira a imporre in forma ricattatoria e surrettiziamente di assumere il prodotto, che   l’obbligo venga invece formulato in maniera trasparente e imposta giuridicamente  – come è stato fatto in Turkmenistan, in Tagikistan, in Indonesia e Micronesia? e come è sconsigliato dalla stessa Oms che ne raccomanda l’uso solo come extrema ratio in particolari condizioni che oggi in Italia non si presentano? –  non ne garantisce il rispetto delle carte costituzionali e del libero arbitrio dei cittadini.

Il fatto è che gli appartenenti alle èlite culturali e sociali sono restii a prendere posizione nel timore di essere accusati di tradimento morale dei dogmi della scienza e del parere dei suoi sacerdoti, così come si sottraggono alla critica alle gestione pandemica e pandeconomica, avvalorando la tesi che stiamo vivendo una drammatica emergenza sanitaria che legittima e consolida uno stato di eccezione che non ha più nulla a che vedere con criteri e finalità di carattere “sanitario”, impiegato per fare dell’intimidazione, della discriminazione, del ricatto la strategia di governo.

Tant’è vero che i prestigiosi critici del green pass ammettono che il linciaggio dei dissidenti eccellenti così come quello di chi non cede al green pass, mira a nascondere le responsabilità dei passati governi e di quello in carica, dalla demolizione della sanità pubblica, alla retrocessione dei medici di base a funzionari amministrativi, della cessione della ricerca all’industria, alla progressiva svalutazione del sistema dell’istruzione universitaria.

E dovrebbero essere proprio queste considerazioni a far sospettare dell’ostensione miracolistica del vaccino come unica soluzione, anche adesso che l’Ue si prepara a dare il via libera a protocolli terapeutici per la cura del virus, proprio ora che importanti voci ufficiali concordano che le vaccinazioni di massa durante il manifestarsi di un’epidemia sono controindicate, proprio ora che, come era prevedibile, si sta per ripresentare l’influenza stagionale, quella oggetto della leggenda secondo la quale mascherine e distanziamento ne avrebbero decretato la scomparsa per un anno e circolano ormai innumerevoli varianti.

Una volta era tutto più facile, se una misura era imposta da un esecutivo che l’aveva scritta sotto dettatura di Confindustria, i lavoratori sapevano che era indirizzata contro di loro. Che se un ministro pontificava che bisognava delle rinunce perché si è tutti sulla stessa barca, era chiaro che solo qualcuno aveva il timone e il giubbotto di salvataggio.  Che se il servizio pubblico o la grande stampa metteva il bavaglio a qualcuno si poteva star certi che aveva detto qualcosa di scomodo e contrario alla verità ufficiale. E che quando qualcuno che sta in alto parla in nome della Ragione è sicuro che si tratta delle sue ragioni d’interesse.