Ho cercato in questi mesi una metafora perfetta per il mondo contemporaneo, per ciò che viviamo contro la nostra vita e per ciò che non viviamo della nostra vita, per la nostra lunga assenza dalla realtà. Poi Improvvisamente ho trovato l’apologo supremo: è stata aggiudicata per quasi 15 mila euro una non opera d’arte, letteralmente un nulla. Tale Salvatore Garau che immagino il genio vero lo metta nella vita, anzi certamente viste che le sue opere devono immaginarle i compratoti, ha venduto una scultura immateriale, ovvero una scultura che non esiste , salvo una specie di attestato il quale garantisce che lo spazio vuoto di  150 X 150 centimetri è come dire uno spazio d’artista. Certo questa vendita all’asta che si è svolta nella mia città natale ormai trasformata in una patetica Dubai in miniatura tanto all’esterno quanto soprattutto all’interno delle persone – Milano per intenderci –  non si potrebbe definire propriamente una scultura infatti lo spazio indicato è bidimensionale e non tridimensionale, ma sappiamo di essere nell’età della Carlona che non è il + di lgbtq e quant’altro, ma semplicemente un modo grossolano di fare e di pensare dove cura, chiarezza e stile non hanno alcun posto e nessun attestato. Anzi paiono quasi essere un veleno capace di disciogliere gli illusionismi di un sistema. Ma almeno adesso si potrò fare i falsi semplicemente componendo certificati con Word.

Eppure non si potrebbe trovare di meglio per indicare il nulla dell’età contemporanea dove basta un semplice attestato per fare un artista e un’opera d’arte. Ma non è forse così anche in ogni altro campo, dalla cucina all’editoria? Non è così persino con la scienza e con questa pandemia che non è determinata dalla realtà ma dagli attestati che vengono forniti non case d’asta, ma da uomini in camice bianco e cuore nero? Il vero problema, la pista da seguire è semmai chi è il padrone del discorso, chi è che attesta che il tal dei tali è un artista e in quanto tale è autorizzato a fornire attestati di opere inesistenti? Ai tempi di Duchamp questo problema non si poneva, ora potremmo avere artisti che lo sono solo grazie a opere inesistenti. E poi diciamo questi giochini valgono solo la prima volta, quando forse si vuole dire qualcosa intorno all’arte, ma la seconda volta diventano una perversione. Ma dobbiamo sapere che queste idea è nata ovviamente a New York il massimo epicentro della stupidità occidentale nonché la massima depressione dell’intelligenza ed è anche inutile dire che questa opera inesistente più le altre che sono in programma è stata realizzata con  grazie al sostegno dell’Istituto Italiano di Cultura di New York, che dedica al pittore sardo un focus in anteprima e una “stanza virtuale” sulla piattaforma dedicata all’arte e alla cultura italiane che appunto non esiste più da tempo. Ma mi piace quell’idea del sostengo per il nulla.

Garau non senza ragione e con parecchia furbizia dice che ” l’assenza che è la vera presenza in questi tempi”, cosa che comunque egli enfatizza o finge di farlo perché  in questo caso il discorso è come invertito: la sua è un ingombrante presenta che sfrutta l’assenza: se proprio voleva operare artisticamente in questo senso, doveva privarci di questa presenta mediaticamente muscolare e semplicemente non fare nulla: sarebbe stato geniale ed elegante, mentre tutto questo battage a suon di soldi ricorda la volgarità e la prepotenza suadente degli spot. Ma tanto è inutile cercare un senso dentro tutto questo: lo scopo finale di tali operazioni è fare si che nulla abbia più davvero un senso, che non ci sia passato dunque una identità, né un futuro, ma solo un presente e nemmeno una vita vera e piena, ma solo un attestato.