Anna Lombroso per il Simplicissimus

Il popolo del nuovo dominio mondiale identificabile nella sua forma appariscente dall’oligopolio Gafam (Google, Amazon, Facebook, Apple, Microsoft con l’aggiunta ineluttabile della B di BigPharma) si sturba perché da qualche giorno viene ostacolato nell’esercizio delle sue abitudini sociali. Così  deplora la censura, minaccia rappresaglie, di quelle riconducibili alla strategia del ritiro: tanto tutto vien cannibalizzato dai poteri forti e io per dispetto me ne vado, scelgo l’Aventino, guardo il mondo dal davanzale, brontolando a voce bassa, esco, non di casa e senza mascherina, ma da Facebook, che poi sono tutti uguali e pure Telegram ha la rogna.

Perché ormai la reazione è sempre quella, riconducibile a una sfera personale  e intimista. Tanto che vengono da rimpiangere i tempi dell’individualismo più sfrenato, del narcisismo e perfino dell’edonismo, più allegramente dissipati e berlusconiani, mentre ora la cultura del piagnisteo si è talmente esasperata che tutti si sentono a vario titolo vittime privilegiate, oggetto di un accanimento ad personam, indifesi rispetto alla spietatezza di un leviatano incontrastabile che ce l’ha proprio  con loro. Ne è influenzato anche il rapporto con la politica e dentro la politica, il contenzioso per la leadership tra Grillo genitore 1 e Conte genitore 2 (e mica vorrete essere così arcaici da continuare a parlare di papà e  mamma?) pare una guerra dei Roses, con la rabbia postuma per incomprensioni che vengono a galla tra una vertenza su chi si prende i cd o i deputati e i rinfacci su chi si è speso di più per costruire l’azienda/famiglia, con le minacce e le intimidazioni a proposito di chi si merita l’affido non condiviso della prole, che difatti mostra tutte le turbe e i vizi dei figli dei separati. Sicchè le battaglie ideologiche ben che vada si riducono a infiniti e stanchi duelli e pugni agitati di tifoso contra tifoso o alle finte dei lottatori di sumo.

La rinuncia definitiva alla privacy invasa da imprese commerciali, banche, istituti finanziari, autorità di controllo del decoro e dell’ ordine pubblico, indagatori delle percezioni e delle inclinazioni, ha raggiunto l’acme con la sorveglianza e la repressione del regime di salute pubblica, che ci ha consigliato sempre più vivacemente di offrire il nostro corpo alla scienza degli speziali , tanto da far scambiare l’assoggettamento acritico per un luminoso comportamento ispirato alla responsabilità personale, laddove non esistono più relazioni fondanti, quando quelle affettive possono rappresentare un rischio che contrasta con i principi di precauzione, e gli unici rapporti che devono sussistere sono quelli contrattuali guidati dall’interesse, dal profitto e dallo sfruttamento. Tanto che ancora una volta si rivede il rapporto dei cittadini con lo stato, prima padrone ed esattore rapace, oggi promosso a illuminato e dinamico supporto all’espansione dell’economia privata, tanto da legittimare la conversione in welfare aziendale di assistenza e servizi, prossimamente anche dell’amministrazione della giustizia, in nome della dinamica che raccomanda la privatizzazione dei profitti e la socializzazione delle perdite.

Come mai ci siamo bevuti l’acqua avvelenata dentro la quale ci stanno annegando? Chomsky risponde con l’esempio della rana che se infilata in un pentolone di acqua bollente si agita per uscirne, ma che se si fa bollire lentamente se il liquido di cottura era freddo e via via si riscalda, dandoci addirittura una sensazione di conforto, ma che aumenta poi fino a lessarci. E infatti grazie alla qualità civica promossa a carattere dell’uomo moderno, la capacità di adattamento,  ci siamo abituati al sopruso, alla prepotenza e ai crimini collettivi che ci svegliano quando urtano la nostra indifferenza, quando colpiscono direttamente la nostra persona. Abbiamo tollerato tagli perpetrati per anni alla sanità pubblica e al sistema ospedaliero, la consegna della ricerca all’industria farmaceutica, la svalutazione della rete della medicina territoriale, capace di tenere insieme prevenzione e cura, poi quando si è presentato non certo inatteso, un incidente della storia, un virus mediamente pericoloso per soggetti fragili, con patologie pregresse, ci siamo improvvisamente resi contro della nostra vulnerabilità minacciata, come rane che prendono atto che strateghi senza strategia, malfattori senza organizzazione criminale, hanno aggiunto legna sotto il tegame della speculazione e dello sfruttamento a dismisura, in modo da favorire una soluzione finale  che selezioni ed elimini parassiti e improduttivi.

Non a caso si è scelto il termine pandemia per esaltare la drammaticità incontrastabile e imprevista dell’accidente occorso per non correre il rischio che si rivelasse il circolo vizioso messo in atto dall’interazione di un agente patogeno con presupposti e condizioni presenti, che denunciano responsabilità e colpe, e per dare il senso di un evento che capita estemporaneo, occasionale e incontrastabile e non dell’ultima evoluzione di un processo morboso cui concorrono le fragilità del sistema nel quale il progresso e la tecnologia sono solo strumentali a incrementare e massimizzare il profitto di pochi, mantenendo sempre in movimento la macchina di produzione di beni, merci e dati, così da farci consumare prodotti e servizi e poi noi stessi, la nostra identità, le nostre relazioni, le nostre inclinazioni e i nostri desideri che si trasformano in altre rendite.

Eppure ci lamentiamo che Facebook limiti la nostra attività, censuri i nostri pensierini, in una forma così grossolana che denuncia la perfetta stupidità dell’algoritmo che non sa far altro che colpire nel mucchio non potendo tacitare solo Agamben, i medici delle cure domiciliari, gli eretici e i poveri blogger che non si arrendono, dopo aver accettato   il progetto di rinserrare l’umanità di un regime di distanziamento e isolamento, dopo aver acconsentito a che i rapporti si convertissero il dialoghi virtuali, a non salutare i propri cari che se ne vanno, a lasciare soli anziani e invalidi, e a farsi controllare in ogni azione, acquisto, vendita, effusione e sberleffo, con l’unica libertà rimasta, quella di obbedire.