Negli ultimi anni si parla tanto, anzi decisamente troppo di una mitica società “multiculturale” che palesemente non può esistere, visto che ogni società è tale proprio perché esprime una propria cultura: tuttavia questa sorta di ircocervo che fa parte del manifesto globalista circola enfaticamente e viene confuso con la società multietnica che è stata quasi la norma nella storia e ancor peggio con forme di educata tolleranza per i frutti del negrierato 2.0 o di volgare e superficiale sincretismo di marca modaiola. Ma poi i nodi vengono sempre al pettine: basterebbe riflettere un attimo e avere il coraggio di mettere tra parentesi gli ambigui costrutti della contemporaneità per accorgersi che l’espressione società multiculturale è solo un paradosso e una provocazione volta a tutt’altri scopi, a sradicare le persone dal loro ambiente per diventare sudditi di un non luogo. Eppure galleggia nel dizionario illusionistico, come del resto molti altri vocaboli, semplicemente perché non esiste più una cultura e dunque è possibile operare qualunque bricolage sociale, politico e filosofico. E non esiste nemmeno un criterio di verità, ogni cosa è opinione che circola sullo stesso piano, senza più aspirazioni collettive, speranze, visioni: tutto è pensiero debole, contestuale, che esprime una sorta di solipsismo atomistico nel quale la verità non ha più nulla a che fare con la ragione, con un fondamento e dunque diventa solo la voce prevalente o ancor più la voce prepotente: quarant’anni di nichilismo egocentrico dove l’unico orizzonte è stato il consumo come senso dell’esistenza, hanno portato le persone a cadere con una straordinaria facilità nella trappola cognitiva della pandemia che è la “verità” solo perché proclamata con lugubre fracasso dai media o da sedicenti “esperti” che palesemente non possono esserlo in presenza di qualcosa di nuovo. Ma l’espetto è rassicurante, assolve dalla fatica di pensare, è esso stesso un oggetto di consumo. Come diceva Nietzsche “Abbiamo tolto di mezzo il mondo vero: quale mondo ci è rimasto? Forse quello apparente? … Ma no! Col mondo vero abbiamo eliminato anche quello apparente!”. E dunque la verità non è che espressione di una volontà di potenza.
Anche chi cerca di togliersi il fango di dosso, chi si sente spaesato e umiliato da tutto questo parla di nichilismo e di relativismo solo riferendosi alla metafisica delle religioni positive come se il problema fosse solo che Dio è morto: come se poi il credere in qualcosa che travalichi la nostra vita individuale, i valori kantiani personali, ma universali insieme, la battaglia per una società più giusta, l’idea di un’emancipazione collettiva e rigenerazione sociale fossero solo erratiche ricerche di un bene che solo un essere sovrasensibile può garantire. Ma da questo punto di vista è più interessante invece constatare che non esiste soltanto un nichilismo cognitivo, colmato da potere con si suoi diktat, ma anche etico nel quale la libertà si rifugia esclusivamente nella sfera privata: la libertà di autodeterminazione dell’individuo in dipendenza dalle proprie opinioni è considerata intangibile e pervade il diritto, la politica, l’etica. Valori o diritti che entrino in concorrenza con essa, limitandola, appaiono come vincoli o divieti intollerabili. Proprio per questo viene rifiutata per principio qualsiasi verità che venga prima o che fondi la libertà in quanto si è visto in essa qualcosa di lesivo delle convinzioni e delle scelte individuali, ma in questo modo ci si è preclusa la possibilità di indicare una scala di valori indipendente dal giudizio individuale: così la distinzione fra giudizio morale e arbitrio si è fatta talmente sottile da divenire quasi impalpabile. Eradicare la libertà dal principio di verità sia pure essa quella fattuale e non assoluta che disgraziatamente non ci è data, rende impossibile fondare i diritti della persona su una solida base di valori civili e morali e pone le premesse perché nella società si affermino l’arbitrio ingovernabile dei singoli o il totalitarismo mortificante del potere. Sono due facce della stessa moneta visto che la massima libertà individuale possibile coincide con l’alienazione della libertà medesima visto che essa non è concepibile senza una norma che ovviamente non viene più discussa e scelta dentro la dinamica storico sociale, ma imposta.
Stiamo per l’appunto vivendo questa fase in tutte le sua forme che coinvolge e travolge anche la scienza: essa non esprime più una fiducia nel fatto che le sue leggi abbiano qualcosa a che fare con l’intellegibilità del mondo, ma è rivolta verso l’utile, l’efficiente quando non il profitto la cui verità riflette l’adesione a un modello più che alla natura stessa. E’ diventata più simulazione che osservazione e i suoi compiti sono determinati fondamentalmente da interessi esterni per cui il potere non è più determinato dal sapere, ma quest’ultimo è determinato dal potere. Ha un senso dunque, come diceva Heidegger, solo come manipolazione del mondo, ma alla fine anche dell’uomo stesso: pensiamo soltanto al ruolo che neuro scienze, neuro linguistica e psicologia sperimentale hanno avuto nell’accrescere a dismisura la capacità di fondare l’egemonia culturale neoliberista e di farci credere cose palesemente assurde, come per esempio che lasciando piena libertà di arricchimento a pochissimi tutti sarebbero stati meglio, quando invece, essendo le risorse finite, questo corrisponde alla logica dell’appropriane socialmente indebita. In questa condizione schizofrenica in cui etica e verità hanno divorziato l’unica realtà a cui fare appello è la dimensione puramente biologica, quella creaturale come si sarebbe detto un tempo, che è ormai l’assoluto facente funzione: per questo la mistificazione che che ha accompagnato la pandemia è stata così efficace da mettere solide basi per una trasformazione sociale che altrimenti non sarebbe stata possibile, anche se l’antropologia nichilista grazie alla quale potrà essere imposta è stata forgiata ormai da decenni. Non ci accorgiamo che è proprio la mancanza di interrogativi collettivi e di un orizzonte comune a paralizzarci dentro un dramma costruito attorno un virus: essendo diventato l’altro una mera ipotesi a volte emotivamente minacciosa oppure conformisticamente accettata come necessariamente benevole e indispensabile ecco che adesso diventa in ogni caso un nemico se non si adegua ad assurdi rituali che non hanno nulla da invidiare alle processioni contro la peste, ancorché presentati come verità pseudo scientifiche continuamente ribaltate a seconda degli interessi del momento. Ed è questa frattura, questa maligna divisione che rende efficace il piano di sconvolgimento sociale che è in atto: lo possiamo scongiurare solo con uno sforzo culturale, non con un vaccino.
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