Sapete è difficilissimo star dietro a tutto ciò che la comunità scientifica produce e lo è ancora di più se vi sono dei filtri che fanno arrivare solo determinati messaggi, così solo adesso cominciano a circolare nei media meno mainstream i risultati del più grande studio epidemiologico sul Covid mai fatto i cui risultati sono stati pubblicati il 20 novembre scorso su Nature Communication ( l’articolo lo potete trovare qui ) nel quale si dimostra che i positivi asintomatici non sono affatto diffusori della malattia e che il virus tende a diminuire la sua patogenicità in completa contraddizione con il panico promosso dall’élite politica con lo scopo controllare le popolazioni e costringerle a ingoiare qualsiasi assurda misura intrusiva a cui dovevano attenersi.

Lo studio è stato portato avanti nel periodo 14 maggio – 1° giugno da 19 scienziati della Huazhong University of Science & Technology di Wuhan oltre che da istituzioni scientifiche del Regno Unito e dell’Australia e ha riguardato praticamente l’intera popolazione di Wuhan dai sei anni in su, circa dieci milioni di persone, dunque una enorme base statistica. Lo sforzo è stato immenso visto che sono stati allestiti 2907 siti di raccolta dei campioni, impiegati oltre 50 mila tra medici e infermieri, mobilitate 280 mila persone per il trasporto e la gestione delle attrezzature. Ormai in occidente è impossibile fare cose del genere sia per la carente organizzazione tutta basata su criteri privatistici e di profitto, sia perché non c’è alcun interesse da parte delle autorità a demitizzare la pandemia.

Comunque tra tutta la popolazione di Wuhan sono stati trovati 300 positivi asintomatici reali – ovvero non dichiarati tali col solo tampone, ma dopo esami sierologici che accertavano l’infezione – i quali avevano contatti stretti con 1174 persone nessuna delle quali è risultata positiva. Sia i pazienti asintomatici che i loro contatti sono stati posti in isolamento per un periodo non inferiore a due settimane ed i risultati sono rimasti gli stessi: “Nessuna delle persone tra i contatti stretti sono diventate positive e tantomeno sintomatiche, né ovviamente si sono ammalate di COVID-19 durante il periodo di isolamento”. Un ulteriore esame dei soggetti dello studio ha rivelato che le “colture virali” nei casi asintomatici positivi  erano tutti negativi, “indicando l’assenza di” virus vitale ” anche nei casi positivi rilevati. La medesima cosa è stata rilevata su quelli che si sono ripositivizzati dopo aver avuto il Covid in precedenza, anche se si tratta di una percentuale piccolissima , 107 persone su 34.424. La fascia di età di coloro che sono risultati asintomatici era compresa tra i 10 e gli 89 anni. Il tasso di positività asintomatica era “più basso nei bambini o adolescenti di età pari o inferiore a 17 anni” e il tasso più alto è stato riscontrato tra le persone di età superiore ai 60 anni.

Lo studio ha anche concluso con grande sicurezza per un indebolimento del virus stesso, “le persone appena infettate avevano maggiori probabilità di essere asintomatiche e con una carica virale inferiore rispetto ai casi infetti precedenti”. Non è probabilmente un caso che dopo terminato lo studio alcuni di questi dati siano stati diffusi inducendo la dottoressa Maria Van Kerkhove, capo dell’unità malattie emergenti e zoonosi dell’Organizzazione mondiale della sanità, a  dichiarare pubblicamente i propri dubbi sulla narrativa avanzata dalla classe politica e sulla reale utilità delle segregazioni. Ma naturalmente è stata immediatamente silenziata perché una simile cosa colpirebbe in maniera mortale il grande affare dei vaccini e toglierebbe a ceti politici inetti e subalterni il pretesto per attuare le ingegnerie sociali del grande reset. E adesso capite anche bene perché saltano fuori le varianti come schegge impazzite.

E a questo proposito mi permetto di annoiarvi ancora con i dati così fastidiosi per i cultori della paura e della resa sociale, però non vorrei far mancare il pane della Scienza a chi la nomina in continuazione e ma non ne non capisce una mazza. Ecco qui sotto una tabella tratta da un documento ufficiale che potrete trovare qui del quale  vi consiglierei vivamente la lettura visto che tra l’altro è di orientamento vaccinista)  che riporta i dati scientifici disponibili su quanta parte della popolazione dovrebbe essere vaccinata per ottenere l’immunità di gregge, dato un certo fattore R0 e le principali vie di trasmissione:

Come si può vedere l’influenza, malattia estremamente contagiosa, che ha un R0 sovrapponibile a quello del Covid e forse anche un po’ superiore richiede per l’immunità di gregge una vaccinazione del 33 – 44 per cento della popolazione anche tenendo conto che il vaccino antinfluenzale nel migliore dei casi funziona al 60%. Questa era  la Scienza ufficiale nel 2018, ovvero erano le indicazione dell’Oms e dell’’European Vaccine Action Plan. Oggi invece si arriva a dover vaccinare in massa tutti perché questo è l’affare del secolo e permette oltretutto di intervenire sulla libertà, sul lavoro e sui diritti delle persone.