Indesit e Ariston sono nomi che affondano nella notte dei tempi di Carosello e ancora di più negli anni del boom, quando in Italia si produceva l’80% degli elettrodomestici europei (con marchi originali o come terzisti) e la lavatrice, il frigorifero erano ormai beni indispensabili per essere middle class. Quindi è quasi in una logica letteraria che nel momento del declino e dello sfascio, proprio questi prodotti siano ora al centro dello scandalo rifiuti e appaiano in primo piano nella devastazione del Bel Paese, in quelle logiche di malaffare e corruzione diffusi che hanno avvelenato il territorio con la distrazione e la complicità della politica.
La Merloni, proprietaria dei due marchi, ovviamente smentisce, ma il suo nome emerge in una corposa informativa della criminalpol che è spuntata fuori al processo contro Cipriano Chianese, uno degli inventori dell’eco mafia, in cui si evidenziano i rapporti tra i casalesi e i manager del gruppo marchigiano. Si tratta probabilmente solo di una punta di iceberg sul quale probabilmente non è solo la Merloni a dover essere crocifissa, infatti essa è definita – secondo quanto riporta l’Espresso – la sola individuata “con certezza”, ma il fatto è che l’informativa in questione non è di ieri, ma del 1996: è rimasta la bellezza di 17 anni a marcire in un cassetto senza che se ne sapesse nulla o avesse un qualche riscontro giudiziario.
E’ precisamente questa inestricabile rete di pie manine, presenti ovunque, di mentalità corrive nei confronti di qualsiasi violazione delle regole, di sudditanze e di complicità generali della politica che indico, purtroppo fino alla noia, come fallimento e corruttela della classe dirigente. Vittorio Merloni, che ora ha passato la mano ai figli, non è un nome qualunque nell’industria italiana e anzi per qualche anno è passato persino come una sorta di Olivetti della centrifuga, è stato per 4 anni presidente di Confindustria, presidente per altri 4 di Centromarca e dell’Assonime, per 13 anni nel board dei direttori dell’ Harvard Business School, mentre il gruppo è dentro la Rcs, ovvero il Corriere della Sera. Insomma un’importante azienda con le mani in pasta nei salotti che contano.
Eppure adesso scopriamo che per risparmiare quattro soldi o per noncuranza o magari profitti personali illeciti, tuttavia mai controllati, i suoi manager davano da smaltire al clan dei casalesi i rifiuti tossici delle fabbriche Merloni, compresi quelli che persino i casalesi avevano qualche scrupolo a seppellire. Il tutto nell’ambito di un Paese, di una politica, di prassi miserabili che con straordinaria pervicacia hanno impedito di fare del trattamento dei rifiuti un’attività economica, mentre i produttori di veleni si sono accontentati dei risparmi che consentiva la cessione alla criminalità delle filiere. E al diavolo chi si prende il cancro. Chissà, forse qualcuno potrebbe farsi una bella risata per l’abilità con si è riusciti a seppellire per più di tre lustri il rapporto della Criminalpol. Abbastanza tempo per fa sì che un’eventuale processo istruito oggi finirebbe con una prescrizione.
Mi scompiscio dalle risate ahahahahahahahah…
LA CLASSE DIRIGENTE ITALIANA, IN SENSO LATO…