berlusconi_napolitanoAnna Lombroso per il Simplicissimus

Mia madre litigò furiosamente con la cognata, zia Biancarosa, puntuta insegnate al Conservatorio che con due lezioni mi scoraggiò nei miei sogni di una carriera pianistica. All’origine dell’insanabile rottura fu una dichiarazione in occasione della rivelazione del tradimento del marito, zio Dante azzimato alto funzionario, conformista e ovvio perfino nelle corna con la segretaria. “Mi auguro, esclamò Biancarosa, che venga un terremoto o una guerra e il fedifrago muoia sotto le macerie o i bombardamenti”. Auspicava una soluzione finale che le garantisse vendetta e indipendenza, ma senza sporcarsi le mani, senza prendere una decisione, senza assumersi responsabilità.

Si vede che viviamo in un paese dove le biancarose prevalgono, dove la vendetta indiretta e trasversale l’ha vinta sulla giustizia, dove la delega ha il sopravvento sulla responsabilità e l’autodeterminazione. Così invece di non votare lui e i suoi alleati, invece di manifestare dissenso e critica esplicitamente, invece di isolare vassalli e valvassori su scala territoriale e soprattutto invece di contribuire a ristabilire quelle condizioni di legalità, che rappresentano la vera opposizione alla sua ideologia, alla sua cultura, alla sua potenza e a quella del suo cerchio tragico e farsesco insieme, un paese affida la salvezza alla cassazione, ai giudici, delegati a sbrigare una faccenda in nome nostro e non per fare giustizia e nemmeno giustizialismo, ma per toglierlo di torno, anche con una certa clemenza, persuadendolo a riparare all’estero, a ritirarsi in una pensione dorata, a fare il suggeritore dietro le quinte.

Deve proprio essere arrivato il momento, già liquefatta la compagine dell’antica opposizione diventata alleata leale, di sciogliere il popolo, lo stesso che è sceso in piazza per veline scosciate, puttanelle sgangherate, vecchi cialtroni affetti da priapismo chimico, ma svogliatamente e nel migliore dei casi si limita a firmare una petizione, clicca un mi piace, ma ha lasciato correre su affronti e oltraggi già perpetrati contro la costituzione e la sovranità, finge di credere che il presidente ottuagenario stia là a malincuore e che abbiano rimpatriata la kazaka a loro insaputa, che accetta ricatti, ingiustizie, affronti e soprattutto ignavia, servilismo impotente, smantellamento dello stato sociale e dello Stato tout court, che dà credito a un partito che non è quello del vecchio premier sempre in auge, ma che riesce ad essere peggiora, visto che gode di minori benefici diretti, intento solo a conservarsi privilegi, rendite di posizione, la sopravvivenza. E che adesso, quel popolino che retrocede ogni giorno di più a plebe mortificata anche nella speranza e nella collera. E che si aspetta che a risolvere i problemi che ha contribuito a produrre ci pensi un’autorità altra, tecnici, magistrati, terremoti e bombardamenti, per starsene nascosto, occuparsi dei fatti suoi sempre più miseri, sempre più minacciati, sempre più avviliti.

Sarà l’antica maggioranza silenziosa, quella che preferisce turarsi il naso che dire di no, quella cui piacciono ravvedimenti intermittenti e tardivi, che dopo averlo votato e applaudito rovesciano il busto del tiranno, quelli che provano  pudore della loro povertà ma non odio per chi l’ha provocata e vergogna delle pivazioni economiche ma non per essersi fatti sottrarre diritti.

Mi pare, morta zia Biancarosa, di non conoscerne, che non siano tra i miei amici e nemmeno tra i miei conoscenti su Fabebook, mi persuado di incrociarli in autobus, al supermercato, al bar. Ma forse, semplicemente, non si manifestano, stanno zitti e sordi in una cocciuta accidia, aspettando che dopo “ghe pensi mi”, scenda dal cielo un altro –  eletto da Dio e anche da loro –  che pensi al  posto loro.