Anna Lombroso per il Simplicissimus
L’ordine regna a Pomigliano: la produzione è regolare, fa sapere il Lingotto sottolineando «il grande senso di responsabilità dei dipendenti che si sono presentati regolarmente al lavoro». Regolarmente, vuol dire che dopo gli scontri con i cassintegrati che protestavano contro il sabato di recupero produttivo concordati fra azienda e sindacati, le forze dell’ordine sono state invitate dalla direzione a scortare i lavoratori all’interno della fabbrica, in modo che non avessero contatti “impuri” con il piccolo corteo di protesta, che stava cercando di convincere i colleghi in entrata ad unirsi alla protesta. Il rappresentante della Fiom è stato sollecitato dalla polizia a esibire i documenti e a impegnarsi personalmente per disperdere la manifestazione “non autorizzata”.
Invece è autorizzato, autorizzatissimo, legittimo, legale, consentito, permesso il meeting previsto per stasera di bande neonaziste italiane e straniere, a Milano, in zona Rogoredo, con l’accompagnamento di gruppi musicali provenienti dalla Germania, dalla Gran Bretagna e dagli Stati Uniti.
C’è da immaginare che la scelta della location non sia casuale: in Lombardia ci deve proprio essere l’humus che nutre capisaldi, convinzioni e valori cari alla tradizione della destra autoritaria razzista e xenofoba, mutuati e fatti propri da partiti presenti in Parlamento, che esprimono esponenti che augurano lo stupro a una minsitra del governo nazionale, promotori di leggi razziali, autori di una politica di emarginazione e respingimenti, incitanti all’odio, alla persecuzione ai pogrom degli “altri”, rom, neri, islamici, meridionali. E infatti nell’aprile scorso si è tenuto un altro raduno “cosmopolita” proprio vicino a Varese, quando centinaia di attivisti neo nazi hanno festeggiato il compleanno di Hitler.
Si la Lombardia di Maroni ne fa sito prediletto, ma tutta l’Italia minaccia di diventare una meta preferita dal turismo nazi. E non solo perché non siamo italiani brava gente; non solo perché a differenza di altri Paesi non abbiamo fatto i doverosi conti con il passato e l’indole a subire dittature salvo disconoscerle al primo 25 luglio; non solo perché dimostriamo una colpevole tolleranza nei confronti dell’illegalità, compresa quella di chi trasgredisce al dettato costituzionale; non solo perché abbiamo nei secoli rivelato un certo pigro istinto al razzismo interno e esterno: polentoni contro terroni; non solo perché appunto abbiamo eletto al Parlamento e accettato nell’arco costituzionale partiti fascisti e xenofobi; non solo perché esponenti di organizzazioni politiche nate dalle radici della sinistra, oltraggiata e dimenticata, si sono fatti interpreti e testimonial di una malintesa pacificazione che ha fatto crescere le case Pound, risvegliare obbrobri prima repressi e censurati, riesplodere idee e azioni criminali, consolidare l’infamia dell’oblio e dell’indifferenza, permettere l’apologia di reati vergognosi, fino a innalzare mausolei a assassini con i quattrini dei citatdini.
Per tutto questo, si, ma anche per altro.
Perché insieme o forse più che in altri Paesi del Sud dell’Europa, le nostre geografie si prestano ad essere il terreno di coltura dei disegni e dell’ideologia della nuova configurazione del fascismo, quello che sta conducendo una guerra economica e sociale contro lavoratori, operai, ceto medio, pensionati, giovani, donne, bambini, vecchi. Che esercita una repressione fatta di condanna alla marginalità e alla miseria di ogni “diverso” : malato, oppositore, omosessuale, povero, terremotato, relegandoli in bidonville, ghetti, corsie sempre più disumane, come in un nuovo, moderno ausmerzen, o spostandoli verso emigrazioni di servi “mobili” e flessibili, per ubbidire ai comandi di un padronato sempre più rapace immateriale. Che come nel passato, sa che la povertà induce alla rinuncia: alle garanzie ai diritti, alla parola, e all’accondiscendenza, alla viltà, alla paura.
Facciamogli vedere che non vinceranno, cominciamo da qualche gesto simbolico, stando accanto a quegli operai che manifestano anche per noi, che si sono pronunciati con un referendum, che abbiamo lasciato troppo soli. E imponendo che nelle nostre città, quelle delle cinque giornate e degli scioperi, nel nostro Paese, quello della resistenza, non abbiano diritto di parola e di canto i nemici di sempre, vecchi o nuovi, giovani o anziani, quelli che vogliono toglierci libertà,e dignità e futuro.
Lo “stato”, purtroppo, è da sempre nemico del cittadino e qualunque ne sia la “faccia” esteriore ha sempre un’anima metallica perché la sua origine è un potere conquistato con la violenza e l’arbitrio mentre la sua finalità è il mantenimento di questo potere violento e arbitrario, sia pure con mille sembianze e travestimenti che ne imbellettino l’immagine presso i cittadini. Chi gestisce uno stato ha deciso di entrare in questa logica di violenza e di arbitrio o, se non lo sa, diventa necessariamente un politico ingenuo, destinato a far parte del gregge parlamentare, quello che vota il fiscal compact e non si rende conto neanche di cosa ha fatto!
A volte, lo stato, se può spendere denaro che non è suo (quello che poi diventa “debito pubblico”) è anche “generoso”, e lo è tanto di più quanto più il potere politico oggi si preserva costruendo bacini di consenso che vanno adeguatamente remunerati per garantirti la continuità nel voto. Quando però lo stato non ha più soldi per costruire il consenso a suon di regali, va direttamente alla giugulare rivelando la sua vera natura. Ecco perché nella crisi attuale non si toccheranno mai i privilegi della casta e i politici non hanno più ritegno a compiere o autorizzare atrocità di ogni tipo. Il politico sa già cos’è la politica. Siamo noi cittadini che a volte non lo sappiamo. Se lo sapessimo, cominceremmo a impostare il problema della politica non come partecipazione a ciò che esiste, e che è già strutturato per essere “male”, per non poter mai essere “bene”, neanche di striscio. A meno di non perpetuare l’equivoco che il bene consista in regalie fatte con il denaro altrui, il debito per l’appunto.
La ricerca di questa politica alternativa, di questa alternativa che incorpori i valori che ci stanno a cuore senza tradirli incastrandoli in un’architettura statale che è nata per tutt’altri scopi, non è semplice. Ma ciò che la rende al momento un’utopia irrealizzabile è che non solo non esiste ma non esiste neppure la consapevolezza della sua necessità e, dunque, la volontà di farla esistere.
a me questa storia della fantasia italiana, della nostra creatività, tirata in ballo per dimostrare una festosa indulgenza complice nei confronti di piccole diffuse strasgressioni, puzza di marcio. E’ alla base delle liceneze, degli scudi e dei condoni e delle leggi ad personam, della condanna dei lacci e laccioli della legge, che ostacola la libera iniziativa dei marchionne e dei riva. Può darsi che la trasgressione sia un codice dgenetico della nostra autobiografia nazionale, ma questo non significa certo doverla accettare e perpetuare.. Come il fastidio per lo Stato, Che provano soprattutto gli imprenditori multi-assistiti, i boiardi molto remunerati, insomma il “privato”. Io invece lo vorrei uno Stato che si fa imprenditore, poer esermpio del risanamento del territorio, della tutela della bellezza e del paesaggio.. Ma i fan di quella libera iniziativa, di quella “fantasia” lo hanno ormai espropriato della sua sovranità e della nostra
troppe teste di scroto
Eccoli di nuovo: le terribili teste b-rasate all’attacco della democrazia; a loro tutto è concesso.
La classe operaia, invece, deve invece piegarsi come un giunco al vento del padrone: forse un giorno, passato tutto, si rialzerà…
Ci hanno riportati, docili docili, al nastro di una nuova, gloriosa e inutile ripartenza: “nazifascisti” contro “comunisti”, “destra” contro “sinistra”, e giù con tutta la solita mercanzia ideologica inquinata, che puntualmente riappare tutte le volte che in troppi iniziano a chiarirsi le idee sul vero asse della politica e del potere: non quello orizzontale tra una “destra” e una “sinistra” visibilmente avariate e scadute, ma quello vero, primordiale e verticale, tra DEMOCRAZIA e OLIGARCHIA, senza virgolette a sottolinearne un significato grottesco recondito.
Proprio ora che la vaselina della storia raccontata perde il suo effetto lubrificante e qualcuno rischia di svegliarsi con uno strano bruciore provenire da dietro, magari proprio dalla parte “amica” alla quale si sono poggiate fiduciosamente le spalle, ricominciamo con la fanfara dell’Armata Rossa sul Don.
E io che speravo si potesse iniziare a guardare ad una giusta e mediata via di mezzo tra stato etico e democratico, lontani dalle pericolose estremizzazioni di entrambi i modelli, con il concetto di stato oligarchico ben visibile come nemico comune comune ed assoluto, così riconoscibile quando viene spogliato dei suoi paramenti liturgici ingannatori, sia di “destra” che di “sinistra”.
Operai e Nazi-skin, così diversi eppure così inconsapevolmente simili nella scia di vaselina che si lasciano alle spalle…
La questione non è così semplice: come puoi dire una colpevole tolleranza dell’illegalità??? Io pure sono per chi, piccoli negozi, fa pochi scontrini, per chi non denuncia tutto, per chi fa contratti in nero guadagnando in due: chi propone la totale legalità è solo uno che vuole mettere a tutti le catene, ordine sicurezza: io, in Italia, nel mio paese (che è soprattutto di chi lo ha abitato in precedenza: la nostra lingua non è l’italiano, noi non ci sentiamo e soprattutto non siamo come la gente di pianura e città) posso ancora permettermi di fare qualche cazzata e qualche scherzo cosa che lo “Stato”, con una legalità imperante, mi vieterebbe. (il problema serio dell’illegale è di chi comanda, oltre al fatto di farsi le leggi). E soprattutto, se la si pensa così, perchè non può essere così??? Quanto perderemmo in fantasia, strutture sociali e famigliari (siamo i soli in Europa dove la maggioranza dei bambini fa pranzo a casa in famiglia) insomma quanto perderemmo di noi stessi in uno stato assoluto????