Rosella Roselli per il Simplicissimus

Per fronteggiare la crisi e dare una scossa alla pigra economia nazionale, pare si sia deciso di invogliare maggiormente gli investitori stranieri. Così, in piena sintonia col capo del governo, che dall’incontro ha ricavato preziose informazioni su alcuni dei motivi della riluttanza estera ad investire nel nostro Paese , anche il sindaco di Roma Capitale ha ricevuto l’emiro del Qatar Hamad Bin Khalifa Al Thani, nel corso di uno dei viaggi che lo sceicco dedica periodicamente allo shopping.

Certo un uomo che ha già tutto non è facile da accontentare, ma la fantasia del nostro primo cittadino, pur non avendo limiti, è comunque ampiamente supportata da quella dei suoi collaboratori più o meno stretti, autentici visionari che hanno già messo in campo idee impareggiabili come il gran premio automobilistico da disputare per le vie della Capitale o le piste da sci nella pineta di Castelfusano.

Anche stavolta si è rispolverato un vecchio progetto, già cavallo di battaglia del senatore ex vicesindaco Mario Cutrufo, che nelle mani dell’ex assessore alla Cultura Croppi si è concretizzato nell’idea di istituire il Parco della Romanità, da edificarsi in un quadrante di Roma non ancora identificato, con l’eventuale gemellaggio di un suo corrispettivo nell’emirato.
Il pensiero dell’incontro fra il sindaco e lo sceicco mi ha fatto pensare, non so perché, alla esilarante scena di Totò che cerca di vendere la fontana di Trevi al ricco e stupido turista americano. Con Alemanno al posto del turista, naturalmente. Perché nonostante i conflitti già in atto sull’area da destinare alla prossima grande opera (si parla di areee vincolate o già destinate ad altri usi, come Castel di Guido e il Centro Carni della Collatina, particolari sui quali il Principe sarà stato senz’altro informato), in cambio di una scuola di lingua italiana nel Qatar (è più facile comunicare con la servitù se ne conosci l’idioma!), di riproduzioni in vetroresina delle vestigia romane (ora scomodamente disseminate su un territorio troppo vasto e complicatissimo da godere in un unico colpo d’occhio) raccolte in un’area sub urbana e di un’imprecisata quantità di denaro (quanto e in quali mani?), dovremmo cedere parte dei reperti archeologici che giacciono da tempo immemorabile nei depositi e nei sotterranei dei nostri musei. E mi sembra un pessimo affare.

Del resto la gestione fallimentare delle immense risorse storiche, turistiche e emozionali della città di Roma, diventata ormai RomaCapitale, non può che avere un epilogo tragico nelle mani di amministratori incapaci e avidi, ex qualcosa e faccendieri senza scrupoli ma dalla fame insaziabile, che negli anni l’hanno offesa, umiliata, spogliata, venduta. Niente potrebbe ripagare la città della perdita di un solo altro ciottolo, di una sola lastra di basalto o di una sola delle mille e mille bellezze sconosciute che ancora aspettano, sepolte vive, di essere ammirate.