Le bugie sono come le barzellette: bisogna saperle raccontarle. Invece questa non sembra una specialità del governo, come raccontare  storielle divertenti non era quella del tycoon di prima. Solo il fatto di essere riusciti a spaventare le “pecorelle” italiane le rende sopportabile e accettabile una via completamente lastricata di annunci e passi indietro, di iperboli salvifiche e di topolini, di equità sospette come le cure del dottor Mabuse.

Fino a due settimane fa i ministri e il premier dichiaravano che si sarebbe abbassato il prelievo sul primo scaglione dell’Irpef dal 23% al 20% grazie ai proventi dell’evasione fiscale. Ma poi non si è fatto perché non c’erano le risorse, cosa del resto evidente anche prima. Tuttavia dopo due o tre giorno di silenzio si è passati a una cantilena uguale, anche se più generica e vaga: con i soldi dell’evasione ridurremo le tasse.

Molti italiani ci hanno messo quindici anni a sgamare Berlusconi, vediamo quanto ci metteranno a capire che la seriosità non è affatto una garanzia di verità. E se è per quello nemmeno di serietà. Dunque si diceva i soldi dell’evasione: anche questa è una palla, peraltro uguale a quella che raccontava Tremonti. La lotta all’evasione è solo marginale  nella dozzina di miliardi ripescati: il grosso deriva dal recupero crediti di Equitalia, vale a dire di somme variamente composte, ma che con l’evasione non hanno nulla a che vedere.

La lotta all’evasione non si fa con i blitz, che infatti non avvengono in nessuna parte del mondo perché i sistemi sono diversi e ormai dovunque ci si serve di sistemi informatici. Ma forse non la si vuole nemmeno fare. Bel bello il premier oggi se ne è uscito con il vero piano: “Il peso delle tasse da dirette e indirette. Serve riequilibrio del sistema impositivo. Ridurre effetti distorsivi”. Dal momento che questo è esattamente il programma del tea party, si suppone che l’effetto distorsivo a cui si vuole rimediare è la progressività della tassazione.

Le tasse indirette cioè  tutte quelle che non riguardano in via diretta il reddito, sono infatti uguali per tutti. Il 20% di Iva – tanto per dirne una – la paga l’operaio come il supermanager. E così le accise sulla benzina o uno degli infiniti bolli o  i ticket sanitari. Se spendo il 40% del mio salario di 1200 euro netti per il cibo, avrò pagato  96 euro di Iva, vale a dire quasi l’ 8% della mia retribuzione totale. Ma se avessi un guadagno di 10 mila euro netti, magari potrò spendere il doppio o anche più in alimenti, diciamo pure 1000 euro. A quel punto avrò pagato 200 euro di imposta sul valore aggiunto che sono tuttavia il 2% del mio guadagno mensile.

Questo gap è ora in parte compensato dalla progressività dell’Iperf . Ma se per esempio viene diminuito del 3% l’importo di ciascuno scaglione dell’Irpef e viene aumentata l’Iva, diciamo del 2% in modo da compensare la perdita di gettito, pagherò il 4, 5% circa  in meno di tasse sul lordo del mio salario che salirà vertiginosamente a 1250 euro mensili , ma in compenso il mio esborso  in tasse alimentari sarà di 105 euro. Il mio alter ego dei 10.000 euro di reddito mensile risparmierà invece il 15% di tasse, mentre l’ esborso in Iva per i cibi sarà di 220 euro. Come suggerisce l’aritmetica il risultato è che mentre l’incidenza della spesa cibo sul mio salario  si riduce a circa il 7%, quelle del mio”doppio” ricco scende clamorosamente a circa l’1%.

Questo naturalmente vale per qualsiasi imposta indiretta e non si fatica a capire perché il passaggio da una tassazione diretta progressiva e una tassazione indiretta è uno dei cavalli di battaglia delle destre wordwide. E nemmeno perché l’azzimato Monti non manca mai a un tea party: sarebbe maleducato.