Licia Satirico per il Simplicissimus

Il linguaggio tecnico del governo Monti, ulteriormente liofilizzato dai media, ricorda sempre di più la neolingua orwelliana: dopo il decreto salva-Italia e quello cresci-Italia, arriva ora il semplifica-Italia. Ai destinatari del messaggio, presumibilmente intontiti dal ventennio Raiset, viene fornito un mistificante segnale di chiarezza e agilità, accompagnato dal monito della cura necessaria. Il premier ha prospettato l’esigenza di uno “sforzo di modernità” per renderci competitivi, annunciando che questa volta il decreto riscuoterà un plauso generalizzato. Occorre rimuovere “una pubblica amministrazione farraginosa e che non serve in modo sufficiente il mondo delle imprese”: in questa luce dobbiamo sforzarci di leggere l’apertura domenicale dei fornai, le nuove procedure di vendita di alimenti e bevande in occasione di sagre, fiere e manifestazioni religiose o culturali, il rinnovo della patente a guidatori ultraottantenni e la digitalizzazione dei versamenti all’Inps.

La rivoluzione copernicana della rapidità passa attraverso internet: più connessioni a banda larga, pagamenti online, iscrizione solo telematica alle università, verbalizzazione in tempo reale di esami di laurea e di profitto, cabine di regia nelle agende digitali, condivisione di dati e documenti delle pubbliche amministrazioni. Sembra proprio che la magnificenza del mondo montiano tenti di manifestarsi con la velocità, più bella – secondo i futuristi – della Vittoria di Samotracia. La modernità terapeutica, però, si rivela a un esame più attento solo un nano da giardino, che cela disposizioni ispirate a ben altra logica.

Colpisce il ritorno “sperimentale”, solo nei Comuni con più di 250.000 abitanti, di un istituto fallimentare come la social card: nel 2009, a dodici mesi dal suo lancio, i beneficiari di questo strumento erano appena 450.000 contro il milione e trecentomila inizialmente previsto. Il bancomat sociale aveva un budget mensile di appena 40 euro, con altissimi costi di gestione e draconiani requisiti di accesso. La banale alternativa, cioè mettere i soldi direttamente in pensioni e sussidi, rischia forse di compromettere il sacrificale sistema contributivo ideato dalla Fornero. Gli anziani, insieme ai giovani e ai disabili, potranno in compenso usufruire di forme di turismo accessibile mediante pacchetti agevolati: vecchietti tribolati da pensioni diafane, giovani disoccupati e invalidi non possono aspirare alla serenità del presente o a un futuro meno incerto, ma d’ora in poi avranno facilitazioni per portare la loro disperazione in giro per il mondo a prezzi imbattibili.

Le riserve verso il decreto pot-pourri crescono su due questioni del tutto diverse tra loro, legate unicamente dalla sensazione di impostura che le accompagna. La prima riguarda la perdita di significato del voto di laurea nell’accesso a determinati concorsi. Sebbene sia stata smentita una correlazione espressa con l’abolizione di quello che il presidente del consiglio definisce “il simbolismo” del valore legale dei titoli di studio, il passo prelude naturalmente all’apartheid tra atenei di serie A e di serie B. Il laureato alla Bocconi col minimo dei voti potrà così scalzare il laureato con lode di ateneo minore senza che la commissione sia tenuta a dare spiegazioni: la portata semplificativa della norma è nelle cose.

In tema di immigrazione il semplifica-Italia si concreta in un’omissione pesantissima. L’articolo 17 del decreto prevede sì, a date condizioni, il rinnovo con silenzio-assenso del contratto di lavoro degli immigrati, ma non è accompagnato dall’annunciata sospensione della stangata da 80 a 200 euro introdotta il 6 ottobre scorso dal precedente governo per ogni rinnovo del permesso di soggiorno: un balzello-contrappasso pagato dai regolari per finanziare il rimpatrio dei clandestini. La tassa sarà oggetto, a quanto si dice, di una revisione legislativa che toccherà l’intera materia dei permessi. Nel frattempo, da lunedì 30 gennaio il decreto Tremonti-Maroni entrerà impunemente in vigore: una scelta scellerata consumata nel territorio delle leggi razziali del terzo millennio e finanche nel giorno della Memoria (a breve termine).
Calvino scriveva che la rapidità non è un valore in sé: il tempo narrativo può essere anche ritardante, o ciclico, o immobile. La semplificazione scattante della modernità non basta a salvare un paese invecchiato e stanco, che ha perso i valori dell’equità e della solidarietà sociale.
Il tempo narrativo del nostro Paese, declassato eppure classista, è immobile.