Fino a qualche giorno fa Pisapia era un estremista rosso o almeno così lo dipingevano i pidiellini. Da ieri gli stessi si sono accorti di essere stati loro estremisti a dirlo e ora si battono il petto cercando di riagguantare una qualche credibilità. La commedia ha un canovaccio, meglio  un feticcio che si chiama moderazione,  una fantasiosa e inconsistente narrazione della stessa sulla quale si esercitano gli opinionisti che possono permettersi solo raramente una qualche dose di realtà.

A volte è proprio la moderazione che consiglia gli estremi rimedi contro il terrorismo degli affari propri, ovvero l’Al Qaeda di Silvio, mentre la finta moderazione spinge a non fare nulla. Quando la bussola è impazzita è difficile orientarsi.

Ma c’è anche un altro tipo di estremismo, purtroppo molto concreto, quello della non scelta. E’ come quegli ordigni nascosti sotto forme comuni e insospettabili, però è pronto ad esplodere contro tutti e nessuno. La sua formula è complicata, comprende la disillusione, la rabbia, prospettive ristrette unita alla farina fossile delle ambizioni che la rende maneggiabile come la dinamite.

Ed è questa l’arma di Grillo: non è una malattia infantile della politica, come dice Bersani, anche se la dimensione di gioco non è estranea a tutto questo, ma invece una forma di degenerazione finale della politica ridotta a essere ancella di una supposta concretezza, il mito di un realismo che ricuce e rappattuma umori informi, dunque incapaci di offrire strumenti comprensione della realtà.

Infatti dire che Pisapia e la Moratti sono uguali è una deformazione evidente del mondo reale. Un pretesto per Grillo che deve ormai conservare la sua maschera come un personaggio della commedia dell’arte, ma al di là dei suoi interessi di bottega visibili e invisibili una prova della devastazione culturale e sociale del liberismo. La politica è l’arte e la passione delle differenze.

Si non scegliere non è affatto essere moderati. E’ un estremismo. A volte un estremismo qualunque.