Si avvicina al galoppo la festa per i il secolo e mezzo di unità, mentre la disunità furoreggia, quella ipocrita, quella vergognosa, quella ottusa. Anzi esplode in coincidenza della data una specie di festival di tutti i vizi che hanno reso tristemente celebre il Paese.

E’ come una sorta di carosello storico in cui possiamo osservare  in azione papi Borgia e le sue cortigiane, lo sgangherato Masaniello che chiede armi al tiranno islamico in via di deposizione, un furioso babbeo, come Gadda avrebbe chiamato Bossi,  il sacco di Roma perpetrato non dagli alamanni, ma da Alemanno, la cinquecentesca rovina dell’economia ad opera delle corporazioni divenute fattore di involuzione,  la Babilonia vaticana di Lutero, insieme ai patetici separatismi imitativi dove si addensa il ” misero orgoglio d’un tempo che fu”

E così tra i fori cadenti di un patrimonio superbo lasciato al degrado, le leggi che umiliano la legge e un’ opposizione che “s’aduna vogliosa, si sperde tremante, per torti sentieri, con passo vagante”, lo spettacolo è allo stesso tempo desolante e affascinante. Affascinante per la sua assurdità e desolante come quella pubblicità per la festa dei 150 anni, fabbricata con gli stessi toni che si usano per vendere intimo griffato.

Purtroppo mentre lo spettacolo continua, non si può dire che l’analisi storica sia all’altezza della data, ma solo all’altezza del canovaccio di questa commedia dell’arte. Le solite cose: l’indipendenza che fu costruita da una piccola elite di intellettuali, l’annessione del Sud che fu una vera e proprio conquista, il nord costretto a togliersi il pane di bocca per mantenere il resto del Paese. Tutte cose in parte vere, dette e ridette, ma  in parte anche semplici bugie e illusioni.

Tanto per parlar chiaro un secolo e mezzo fa le manifatture del regno di Napoli erano già miseramente fallite e la sua marineria era agonizzante. Mentre il Nord, senza un mercato più ampio si vedeva chiusa la strada non solo dalle piccole dimensioni, ma anche dalle più evolute industrie francesi e tedesche.

Con le rivendicazioni prive di contenuto non si fa molta strada e nemmeno con le considerazioni storiche che non colgono il problema. Che è questo:  perché i grandi  Paesi d’Europa, nati con le stesse dinamiche, a volte anzi molto peggiori, si sentono nazioni, mentre da noi ogni scusa viene buona per contestare l’unità? I re di Francia dovettero vedersela con la Burgundia (alias Borgogna) e con i bretoni, con gli Inglesi e con la Catalogna, la Prussia conquistò la Germania con molta più determinazione e assai meno ragioni di quanto non fece il Piemonte. Per non parlare di Inghilterra e Scozia. Ma nessuno si sogna di negare l’unità e tutti  sentono di appartenere a uno stesso destino, pur senza negare le proprie diversità.

Per quello che mi riguarda darò una risposta paradossale: l’unità d’Italia è molto più difficile da realizzare non perché le differenze siano troppe, ma proprio perché esse non esistono o meglio non si sono mai realizzate come entità statali effettive. Un bavarese può accettare l’annessione alla Prussia perché appartiene a una vasta identità, a un regno secolare a una reale tradizione storica. Ecco perché la Germania è una paese federale in maniera istintiva e perché l’Italia, frazionata come i territori tedeschi non lo è mai diventata.

In Italia queste identità regionali o di area sono state create della’unità, mentre prima non esistevano. Non esisteva un senso di appartenenza al regno del Sud, ma solo a città o a zone collegate da antichi rapporti, non esisteva un Puglia, un Abruzzo o una Campania. Esistevano Napoli, Bari, Palermo, Catania. E così al Nord. Il Veneto per esempio è una vasta collezione dei territori afferenti a Venezia, territori spesso diversissimi tra loro, magari spesso rivali fra di loro.   Sappiamo dalle elementari che i possedimenti austriaci in Italia si chiamavano Lombardo- Veneto e da questo ne deduciamo la possibile e pregressa identità che andasse al di là di essere Milanesi, Varesotti, oppure  Trevigiani o Veronesi. Invece quel nome fu inventato da Metternich per l’impossibilità di trovare una qualche definizione più calzante che  non irritasse troppo il nuovo re di Francia.  I nomi che infatti circolavano per il regno annesso erano   Ost und West Italien oppure Österreichische Italien.

Il che ci fa capire che anche per Metternich, l’identità territoriale italiana era molto più forte rispetto a quelle regionali peraltro inesistenti.

E’ in un certo senso la scoperta dell’acqua calda e cioè che il nostro è un Paese diviso per città e non per regni o piccole nazioni che anche se sono esistite erano un disegno di comodo fra grandi potenze o semplicemente accorpavano i contadi. Una struttura polverizzata che del resto era già tipica nel basso impero romano dove nelle “ville” si concentrava il residuo potere reale.

E stata proprio l’unità del Paese a far diminuire poco a poco il senso del campanile e allargare l’orizzonte. Ma non tanto evidentemente. Non  abbastanza perché nella crisi epocale dell’occidente, nella paura del futuro non ci si aggrappi a identità inesistenti o futili per placare i timori e mettere a tacere i disorientamenti.

Quindi dovrebbero essere proprio i leghisti a festeggiare l’unità che ha reso possibile smerciare le loro invenzioni. E anche questa strana idea di federalismo, inconsistente sul piano politico, tanto da essere meno incisivo dei regi decreti mussoliniani del 1934 in fatto di autonomie locali, una totale menzogna sul piano fiscale  e allo stesso tempo un puro e cieco egoismo nella loro radice. Perché il problema non è che bisogna ancora fare gli italiani, è che non bisogna più fare i cretini.