Case-chiuse

Anna Lombroso per il Simplicissimus

A la Repubblica piacciono le squillo. No, non parlo di giornalisti che rispondono solerti alla prima scampanellata o al primo drin di cellulare. No, parlo proprio dell’altra forma di prostituzione, quella solitamente indicata come la più antica delle professioni. Me l’immagino, una giornata grigia, in una cronaca messa in ombra dagli interni, molto più dinamici ed epici, a ciondolare tra la rete, twitter e l’ansa, quando ecco che a qualcuno viene l’idea vecchia quanto la prostituzione, di costruire un caso umano, uno di quelli che fanno discutere, come si faceva una volta quando c’era Alberoni che poi discettava sulla sorte infelice delle “altre”, trascurate a San Silvestro o del fedifrago che riscopriva le gioie famigliari. E cosa c’è di meglio in tempi di crisi di un caso che combini bisogno, affetti famigliari e uno spirito di sacrificio assoluto fino alla perdizione, con la cara e amabile trasgressione un po’ pruriginosa, quella che esorta i lettori a abbandonarsi a sentimenti natalizi di indulgenza compassionevole e tollerante comprensione?

Così, dopo la precaria-squillo di Pasqua, estratta dall’uovo ad aprile, ecco che viene allestita insieme al presepe, la casalinga- prostituta, ben collocata nell’immancabile provincia un tempo pingue ed opulenta oggi ridotta a fare i conti con un implacabile senso di perdita, quello indotto dalla contrazione punitiva dei consumi, da nuove insicurezze, dal disgregarsi di privilegi e aspettative. Insieme ad altre donne casalinghe e disoccupate come lei, aveva affittato un appartamento. Uno qualunque, camere anonime e normalissime per prostituirsi di nascosto. Dalla famiglia, dal marito, dai figli. E guadagnare tanti soldi, subito. E che, quando i carabinieri hanno fatto irruzione in quelle stanze e l’hanno trovata con un cliente, lei è scoppiata in lacrime e ha chiesto disperatamente “riservatezza”. È in questo modo – ha messo a verbale – che paga il mutuo di casa, le rate della macchina e tutte le altre bollette che arrivano alla sua famiglia. “Noi siamo abituati a un tenore di vita molto alto. E le assicuro che non è facile, adesso con la crisi, tornare indietro. Poi, sono sempre stata una bella donna…”.
Troppo perfetta per essere vera, un cammeo, insomma, ben ambientato, perfino con l’aiuto del fruttarolo , “maniaco sessuale., che quando entra in confidenza con qualche casalinga con problemi economici le propone di prostituirsi”, perfino con lo psicologo di sostegno, perfino con gli immancabili buoni uffici della rete, di Internet, delle foto scollacciate ma con il volto coperto.
In verità conta poco se sia inventata di sana pianta, se sia un esercizio “letterario” intorno a un possibile caso di cronaca, certo è che la scelta di dare al caso più di cinque righe in cronaca, molto più spazio di quel che si darebbe a un disgraziato che mette in vendita un rene e soprattutto più di quanto se ne dà a tutti quelli che ricattati dal bisogno devono vendere la loro fatica rinunciando a diritti, salute, garanzie, è tremendamente simbolico delle molte perversioni e aberrazioni delle quali soffre la stampa. La più infame delle quali consiste nel fare dimostrazione di disincanto, di realismo smaliziato, che in fondo siamo uomini di mondo, che in fondo è dall’alto che ci hanno abituato alla rapida conversione dei vizi privati in pubbliche qualità, che in fondo ognuno del suo corpo fa quello che vuole, che in fondo è tutta colpa del consumismo che ci ha viziati a avere tutto, a vivere al di sopra dei nostri mezzi e adesso arriva il tempo della penitenza, del sacrificio, dell’austerità.

Ma il risultato è che per non essere moralisti, si perde di vista la morale, diventata una memoria arcaica da riporre insieme alle ideologie del secolo breve. E si perde anche di vista il dizionario che per prostituzione intende il vendersi, l’offrirsi, il commerciare di sé, che non si limita certamente ai favori sessuali, ma con buona pace della casalinga in oggetto, è ancora più redditizio e profittevole quando la merce è intellettuale, prevedendo un tipo di dedizione più profonda, più fedele, più rovinosa per i riverberi che ha sulla società. Nel mentre sento una profonda pena solidale per chi è costretto a stare sulla strada davanti a un fuoco nel tremendo crocevia della nuova e antica schiavitù, non nutro invece nessuna forma di indulgenza nei confronti del caso umano vero o artificiale di Repubblica, non nutro nessun tipo di tolleranza per le squillo, nelle moderne case di tolleranza appunto, o nelle redazioni. Quelle che contano su appetiti maliziosi, su istinti squallidi, sul guardonismo da premiare con paginate di intercettazioni di veline, olgettine, comode, rispetto ad altre più alte e scomodissime, perché dietro alle alcove e alle cene eleganti si potesse celare il baratro nel quale ci cacciavano, su quel maschilismo, che serpeggia anche in chi passava le serate in Via Veneto, che sotto sotto sospetta e lascia intendere che le donne la loro ricchezza in tempi di crisi, la conservano tra le gambe.