Anna Lombroso per il Simplicissimus

Per una stolta e colpevole distrazione ci ho messo una settimana per accorgermi di un incantevole quadretto gozzaniano, offerto dal Venerdì di Repubblica, con il burbanzoso zerbinotto ammesso alla presenza e all’indulgenza di Nonna Speranza al fine di riconquistare fiducia e consenso, secondo un credo del quale si era fatto portatore suscitando aspettative oggi rappresentate da macellai delle dinastie petrolifere, cancellando 70 e più di Gramsci per dare cittadinanza all’oscurantismo politicamente corretto. D’altra parte succede quando l’arrivismo è una virtù dei leader come la spregiudicatezza, quando il conflitto d’interesse è disdicevole solo se diventa l’autodifesa dei poveracci, quando merito significa che se hai brigato con disinvolta temerarietà è giusto che ti procuri gli effetti benefici del tuo comportamento, quando si deve aver fiducia nella magistratura purché indaghi su altri, quando è doveroso esautorare professori e sapientoni che ostacolato il progresso, e così via.
La Nonna, che incarna appunto l’aspettativa di stare ancora a galla malgrado tutto, è la venerata maestra Natalia Aspesi che riceve Renzi (è lui lo spavaldo gradasso) nel tinello di casa, grazie a quella felice combinazione che mescola il sapiente allineamento al pensiero forte dell’establishment con qualche indolore provocazione.
E d’altra parte chi più di lei ci eroga da decenni tutti gli stereotipi possibili riducendo ogni fermento a fenomeno di costume in modo da affievolirne la possibile carica anti-sistema? In anni e anni ci ha proposto i miti di rito ambrosiano e non solo: le tose col paletot rivoltato che mangiano in latteria, le portiere che irriducibilmente confezionano minestre di cavolo (ma quello in forza a Casa Aspesi è maschio) e pettegolezzi di ringhiera, le fedeli fantesche di casa (l’attuale a servizio dalla signorina si chiama Beatriz e non è una provetta stiratrice a differenza delle colf di Rignano abilmente selezionate da Agnese), alternati a altri festosi luoghi comuni che non hanno risparmiato ’68, ’77, femminismo, movimenti dei margini retrocessi a “voghe”, trend, mode. Non poteva non approfittare dunque dell’occasione di esibire il processo di redenzione dell’ex leader per trasformare magicamente in pregi e qualità i suoi conformismi, i complessi di superiorità, le idee perverse, le revisioni arrischiate e mai rinfacciate.

La sua benevola disposizione d’animo si capisce da subito quando esalta la statura dell’uomo, raccogliendo gli umori della strada: è più alto di come appare in foto secondo il portiere e bello! come sottolinea Beatriz, la salvadoregna che si occupa della sopravvivenza della influente scrittrice e giornalista, di persona è meglio che in video e foto e comunque vince facile la gara di sex appeal con gli attuali decisori, che pur rimessi in ordine dagli stessi staff degli influencer, appaiono stremati, sdruciti, un po’ sformati, con calvizie avanzate, piccolotti o al contrario giganti ….. e non parliamo di quelli che fanno i giovanotti, con magliette e giubbotti tesi sulle pance sempre più instabili. Renzi invece è un figurino, redingote blu e sotto completo blu (Scervino?), per non dire che mantiene una soglia di tolleranza adiposa che non deve superare li 82 chili.
La tempra dello statista, la sua incontestabile e irriducibile tenacia nel rivendicare meriti è tale che nell’ammettere una certa arroganza, l’ex presidente del consiglio si fa forte, per giustificare il suo attaccamento a ruoli dominanti, il consenso espresso via mail da 27 mila fan in occasione della disfatta referendaria e dalla sua promessa/minaccia di ritirarsi come Cincinnato o meglio Veltroni in Africa. E mica vorrete che faccia autocritica, altro arcaico residuo del secolo scorso e dell’ideologia comunista che influenzava il pensare comune con miti bigotti e penitenziali. Non la fa nemmeno la vispa nonnina, molto criticata per aver osato scrivere mesi “che – forse – alle elezioni politiche di settembre avrei votato Renzi” ricevendo in risposta montagna di lettere di fiera critica e contenenti la non velata accusa rivola al bullo “di un tentato omicidio della democrazia italiana. E nessun neppur minuscolo merito, tipo appunto le unioni civili sempre chieste e mai ottenute se non dal suo governo tremendissimo”. E dunque da parte di Aspesi su altri omicidi, da quello del lavoro tramite Jobs Act, o dell’istruzione pubblica, attraverso la Buona scuola, della rete della sorveglianza sul governo del territorio terreno di scorrerie della speculazione.

Al delicato acquerello non manca l’elogio della “sua signora”, sobria, riservata ma sempre presente appena un gradino più giù delle immaginetta del pantheon popolato delle figure di Martinazzoli, Martinazzoli, Bill Clinton, Tony Blair, ma soprattutto Bob Kennedy, che manda l’esercito per consentire a un ragazzo di colore di entrare all’università, una degna credenziale quest’ultima per il presidente di un governo che ha mantenuto inalterata la Bossi-Fini e preparato il terreno favorevole per le ordinanze di Minniti e i decreti di Salvini.
In chiusura l’eterno giovanotto di Rignano non resiste alla tentazione di condividere con la Nonnina la sua Speranza: “per come è fatta l’Italia posso cadere nel dimenticatoio fra due mesi e per sempre, ma anche può succedere che con una congiuntura astrale straordinaria possa tornare ad avere un consenso molto superiore a quello di oggi”.
Un auspicio che proprio non ci fa onore se veniamo considerati una gente così condizionabile, così espropriata di valori e principi morali, sociali, politici da tollerare una così proterva occupazione straniera in patria, e i suoi cantori di regime.