Anna Lombroso per il Simplicissimus

C’è sempre un podestà d’Italia, o uno che aspira  a diventarlo, pronto a mettersi alla guida di quel ceto che qualche anno fa si riconosceva nella maggioranza silenziosa dei cumenda col paletot di cammello e della sciure in visone arruolatesi ultimamente nelle file delle madamin antitav, che quando passavano gli operai e gli studenti dei troppi autunni caldi ritrovavano la voce per urlare andè a lavura’, barbùn!, e che ha poi costituito il pubblico di riferimento delle reti Mediaset e solo apparentemente l’elettorato del patron, spalmandosi invece equamente su tutto l’arco costituzionale tanto da rendere difficile l’interpretazione delle loro migrazioni.

Oggi il podestà che si candida a testimoniare dell’esistenza di una borghesia illuminata è l’aspirante sindaco di Roma Carlo Calenda: il  leader di Azione promuove per l’11 settembre a Roma una manifestazione dell’Italia seria e responsabile per rispondere a chi usa i vaccini, le aperture e i green pass a fini di bassa politica, e chiede alle forze politiche e sociali di aderire e agli altri sindaci di area riformista, di ripetere la sua iniziativa nelle loro città, riferendosi a primi cittadini radicati territorialmente e consapevoli dei bisogni della popolazione come Nardella, tuttora impegnato sulla battaglia per l’aeroporto che in barba al Covid saprebbe restituire a Firenze il ruolo di meta privilegiata dell’immaginario turistico collettivo, o come  Sala a Milano, che forse per invogliare gli investitori degli sceiccati si fa immortalare scalzo durante un pellegrinaggio birmano.

L’interpretazione del piccolo Enrico nello sceneggiato deamicisiano girato dal prestigioso nonnino, deve proprio aver lasciato un segno, un’impronta inequivocabile nell’eterna promessa della politica, dopo esserlo stato per la cultura del management nella cerchia dei dorati promoter di augusti fallimenti di Montezemolo, intriso com’è di tutti gli stereotipi del perbenismo feroce e discriminatore che ha trovato la sua terra e il suo humus di coltura nella città che non riesce a riaversi per l’eclissi della dinastia regale, che dopo aver discriminato e emarginato gli emigranti del Sud, raccomanda le stesse procedure contro gli eversori che ostacolano il progresso  su ferro.

E difatti eccolo qua, brandire come un’arma la letterina /appello di convocazione per l’11 settembre, data scelta probabilmente per ricordare che è sempre tempo di combattere i talebani interni prima che si macchino di qualche misfatto a dimostrazione che il pericolo è sempre in agguato quando si rinuncia al ruolo guida di guardiani dell’ordine mondiale e nazionale. “La battaglia sui vaccini racchiude molti dei problemi che affliggono il paese”, scrive,  “La diffidenza verso il progresso e la modernità, l’uno vale uno, l’idea di aver diritto a tutto senza riconoscere i corrispondenti doveri”.

A quest’ultimo punto tiene molto così come ci tiene quella cerchia di gente persuasa che i diritti in via ereditaria, di censo, di appartenenza, di affiliazione e fidelizzazione, siano prerogative in regime di esclusiva secondo i paradigmi della loro meritocrazia, appannaggi guadagnati e intoccabili in qualità di privilegi elitario e selettivo. Agli altri, come direbbe Renzi, spetta il destino genetico o antropologico di sudare, spaccarsi la schiena, faticare per aspirare a una pallida imitazione di benessere e sicurezza, da conquistare con l’obbedienza e la fedeltà a una ideologia che promuove ambizioni, spregiudicatezza, cinismo, arrivismo.

In Italia, lamenta ,  ci sono i no vax, ma ancor peggio ci sono coloro che strumentalizzano i vaccini per fini politici….Quelli che non si esprimono per intercettare il voto dei “no a tutto”. Quelli che vogliono che i no vax siano trattati come chi si è fatto il vaccino a spese dello Stato, degli studenti, dei lavoratori”. 

Pensare che il governo della Capitale possa essere affidato a qualcuno che aveva la sesta malattia il giorno della lezione di educazione civica nella quale si imparava che le cure e l’assistenza sono dei servizi pagati con le tasse dai cittadini e non elargizioni governative, fa proprio venire i brividi. Quasi come scoprire che l’agone della politica secondo  questa cricca  si limiti a essere il terreno di spartizione di schemi propagandistici in aperta concorrenza per aggiudicarsi un po’ di consenso, ormai reso superfluo da leggi elettorali che hanno ridotto il voto a timbro notarile, sempre ammesso che il dispotismo introdotto dall’attuale stato di eccezione non prolunghi la sospensione dei rituali democratici.

“Ora basta. L’Italia seria, quella responsabile che lavora, studia, produce, fatica e dimostra di avere senso civico e responsabilità si faccia sentire”, conclude il proclama per chiamare a raccolta “contro l’ignoranza”,  senza “bandiere di partito” (chissà che vessillo si sarà cucita su misura la formazione che nelle ipotesi più trionfalistiche ha il 3,7%) ma con la forza di “essere la maggioranza” che non ha paura di “misurarsi con la piazza”.

Chissà come se la figura la sua buona piazza del sabato dei fedeli del progresso, dei fanatici dei prodotti delle case farmaceutiche somministrati delle forze speciali del generale della Nato, della Ragione e della Scienza officiate dai Migliori, della democrazia che consiste nel fidarsi di chi sa e è delegato, o scelto perciò per comandare,  contro la cattiva piazza del sabato  degli sporchi e brutti del no green pass, no discriminazione, no dell’obbligatorietà in capo ai cittadini perché chi sta in alto rifiuta le responsabilità, di chi invece della  somministrazione bellica pretende rafforzamento della sanità pubblica, del sistema ospedaliero e della medicina di base.

Sognerà folle oceaniche di bravagente vaccinata, digitalizzata, medicalizzata, che prende a spintoni, virtuali per carità, disertori, traditori, renitenti che hanno scelto il dubbio, l’informazione non soggiogata, la libertà di scelta, per metterli ai margini del lavoro, dei luoghi del sapere e della cultura, dei templi della storia e della conoscenza, optional poco compatibili con l’ideologia corrente che esige sottomissione e spirito di adattamento certificato da un patentino.

Come previsto il green pass è un test, deve saggiare lo stato di soggezione popolare, in preparazione di un crescendo dispotico e autoritario, passando per la delegittimazione della deontologia di professioni cruciali, sanitaria o didattica, riducendoli a burocrati e impiegati amministrativi ricattabili, criminalizzando e riducendo alla fame chi si ribella, si tratti di comandi e intimidazioni arbitrarie padronali, di censure e ostracismo esercitati nei pochi spazi cui è retrocesso l’esprimersi dell’opinione pubblica.

E difatti vogliono prendersi la piazza, la nostra di cittadini, donne, lavoratori, precari, disoccupati, perché hanno paura della nostra collera e della nostra libertà.