fava Anna Lombroso per il Simplicissimus

Qualche giorno fa con il voto unanime dei presenti la Commissione antimafia regionale siciliana, presieduta da Claudio Fava, ha approvato   la relazione di 104 pagine di documento  sul fallito attentato ai danni dell’allora presidente del parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci, avvenuto la notte tra il 17 e il 18 maggio 2016 e sventato dalla scorta che si era resa necessaria a sua protezione  dopo che aveva subito minacce e intimidazioni.

La sua colpa agli occhi delle cosche locali era quella di aver introdotto  nell’area del Parco un Protocollo di legalità per regolare l’assegnazione degli affitti dei terreni da pascolo, prevedendo, anziché  un’autocertificazione, la presentazione del certificato antimafia anche per gli affitti inferiore a 150.000 euro, fino ad allora esentati. Il Protocollo si era subito rivelato un atto non formale o simbolico, al contrario era diventato il contesto giuridico e operativo per proseguire l’azione di contrasto ai clan locali della cosiddetta    “mafia rurale”  condotta da una task force di poliziotti e da un sindaco ancora nel mirino della cosiddetta mafia rurale che grazia alla collaborazione di alcuni imprenditori onesti  era venuta  a capo del sistema malavitoso che stava fruttando milioni e milioni di euro grazie agli affari sporchi del comparto silvo-pastorale,  sviluppatisi grazie alle indennità pagate con i fondi dell’Unione europea, intercettando    i finanziamenti pubblici e proseguendo nella normale attività criminosa: macellazioni clandestine, abigeato, commercializzazione di capi affetti da brucellosi  e tubercolosi, controllo degli organismi di vigilanza anche grazie a  ricatto e all’intimidazione degli operatori

Insomma quel Protocollo si era rivelato talmente efficace da persuadere i clan che era necessario togliere di mezzo l’incomodo organizzando  un attentato che il gip di Messina incaricato dell’inchiesta definì a suo tempo “ un vero e proprio agguato, meticolosamente pianificato e finalizzato non a compiere un semplice atto intimidatorio e/o dimostrativo, ma al deliberato scopo di uccidere ….commesso con tipiche modalità mafiose con la complicità di ulteriori soggetti che si erano occupati di monitorare tutti gli spostamenti dell’Antoci e di segnalarne la partenza dal Comune di Cesarò….Tale azione delittuosa induce a collegare tale attentato alle penetranti azioni di controllo e di repressione delle frodi comunitarie nel settore agricolo-pastorale da tempo avviate da Antoci“.

Nessun dubbio, dunque per gli investigatori e i magistrati. Invece la Commissione Regionale Antimafia smentisce il quadro di indagini e giudiziario e in quelle 104 pagine solleva dubbi, gonfia una bolla di diffidenza e sospetti che si concretizzano in tre ipotesi: la prima, quella appunto alla quale giunse l’inchiesta archiviata per l’impossibilità di individuare i colpevoli, che si sia trattato di un attentato mafioso fallito che intendeva eliminare “l’ostacolo”; la seconda congettura che sia stato solo un atto dimostrativo destinato non ad uccidere ma ad “avvertire” e intimorire il presidente del Parco. La terza sembra fabbricata in un libro di Sciascia e immagina che il povero Antoci sia vittima due volte, degli eventi di quella tremenda notte e di una infame messinscena che indurrebbe a sospettare di qualche burattinaio occulto che avrebbe simulato in cerca di notorietà. “Alla luce delle testimonianze raccolte – è scritto nel documento – degli atti acquisiti e delle contraddizioni emerse sotto il profilo testimoniale e investigativo, nessuna delle tre ipotesi può essere accantonata”.  Anzi, il presidente Fava insiste sulla terza insiste pervicacemente sulla terza ipotesi “La Commissione, ha spiegato, ha cercato di approfondire i numerosi interrogativi lasciati aperti dal decreto di archiviazione disposto dal gip di Messina (che presenterebbe lacune sul piano investigativo “che è difficile spiegare vista la gravità di quello che si suppone sia potuto accadere: il più clamoroso attentato di mafia dopo le stragi del 1992″)  e, al tempo stesso, di affrontare, attraverso una minuziosa ricostruzione dei fatti, le opacità, le contraddizioni e i vuoti di verità che permangono da tre anni su questa vicenda…. Abbiamo ascoltato tutti quelli che potevano portare un elemento di chiarezza, partendo da tre ipotesi che restano tutte in campo. Dalle contraddizioni che emergono, la meno plausibile sembra quella dell’attentato mafioso”.

Impegno lodevole a prima vista che sarebbe stato auspicabile si fosse manifestato qualche anno fa, quando la Commissione non ritenne di doveroso riservare a quello che succedeva nell’area del parco, agendo con altrettanta determinazione per portare alla luce gli  intrecci tossici tra criminalità e dirigenti politici e amministratori, tra  economia e mondo della finanza, su una cupola parallela che ha favorito il saccheggio di risorse e beni comuni, l’inquinamento di vaste zone del territorio, l’avvelenamento del  suolo e l’incendio dei boschi per favorire al speculazione, la contaminazione di aziende sane per assoggettarle.  Come ha ricordato lo stesso Antoci, la Commissione non ha mai creduto necessario indagare sulle connivenze che andavano verificate all’interno dell’apparato regionale che per anni ha assistito inerme ad un business che, per molti versi, si è rivelato per la mafia più profittevole del lucroso mercato delle droga,  sul sistema di collusioni  e sulle vessazioni subite da agricoltori e allevatori, sugli assassinii, i ricatti, gli appalti truccati, le truffe ai danni dello Stato e dell’Ue, il racket che intimidiva gli imprenditori e gli allevatori, i furti di bestiame, il commercio di capi malati con i conseguenti rischi sanitari.

Ci vorrebbe proprio il commissario letterario  Montalbano e la sua autorevolezza conquistata in TV, per far piazza pulita dei dubbi sollevati dalla Commissione, e non un oscuro vicequestore, che poi era lo stesso che aveva condotto con successo importanti investigazioni, Daniele Manganaro, il personale e  gli agenti di un piccolo commissariato che hanno rischiato quella notte (due sono morti poco dopo in circostanze ancora oscure) o il presidente, la cui rimozione anticipata dalla presidenza del Parco decisa dal suo partito, il Pd, la dice lunga sull’importanza che la politica attribuisce alla lotta contro la criminalità organizzata, e che ha commentato così il parere della Commissione: “sono basito…. Io sono vivo grazie alla mia scorta. Ci sono stati due poliziotti morti in 24 ore. Ci sono i milioni di euro finiti alla mafia dei pascoli. E l’indagine la fanno sulla dinamica dell’attentato”.

Mascariare in Sicilia siciliana non vuol dire soltanto coprire o tingere, negli anni ha preso il significato di sporcare qualcuno nell’onore, nella reputazione. Per poi assumere quello ancora più grottesco e osceno di infangare e screditare con le armi della legalità. Ha ragione Antoci, lui e quelli che negli anni gli sono stati a fianco nella sua battaglia e che quella notte gli hanno salvato la pelle avrebbero dovuto morire per essere creduti, per tutelare credito e stima, se i dubbi e i sospetti sull’accaduto riguardano la mancanza di una rivendicazione dell’agguato da parte di possibili autori intercettati, la presenza “di più attentatori .. e armati”, denunciata dai rilievi condotti su mozziconi di varie marche di sigarette che non avevano riscontro con quelli riguardanti i “soliti sospetti”, perfino sull’affidamento “sospetto” della delega per le indagini venga ristretta alla squadra mobile di Messina e al commissariato di provenienza dei quattro poliziotti protagonisti del fatto.

Per essere nel gradimento dei professionisti dell’antimafia, le forze dell’ordine (non quelle da scatenare in piazza, cui delegare la cura del decoro, contro poveracci di tutte le etnie) colpevoli di “aver violato le procedure”, di aver trascurato la comunicazione tra gli attori presenti sul luogo dell’attentato, di aver fornito testimonianze non completamente concordi, insomma di essere intervenuti con tempestività e sprezzo del pericolo di quello che secondo lo stesso Fava  si suppone essere “ il più clamoroso attentato di mafia dopo le stragi del 1992″ , dovrebbero essere morti, martiri, eroi da commemorare.

Che a questo è ormai ridotta la lotta alle cosche, che gode anche quella di una sua giornata come la Memoria, proprio come quella al razzismo che si accontenta dell’autodeposizione di un ministro particolarmente pittoresco, di un ambientalismo che si appaga del bon ton ecologico dei cittadini, esonerando il sistema di sfruttamento e abuso di risorse, territorio e popoli, di una pretesa di innocenza e di una rivendicazione di legalità di chi corrompe la verità e le leggi e usa la realtà e le leggi per corrompere.