taxidriver_816x428Tutte le volte che qualche notizia o qualche intervento mi porta col pensiero a Uber e a imprese similari, non posso fare a meno di considerarle come l’emblema delle contraddizioni contemporanee e della risibile consistenza dei luoghi comuni del neo liberismo che sono stati diffusi come un virus. Ne ho già parlato qualche giorno fa in occasione degli scioperi dei tassisti (qui) e pur rendendomi conto che repetita taediant ogni volta ci si rende conto di aver trascurato qualche aspetto. A  cominciare, per esempio, dall’assurdo di fondo che è alla base di queste nuove ferriere digitali di sfruttamento selvaggio: le stesse tecnologie che le rendono possibili avrebbero potuto e dovuto essere usate per diminuire gli spostamenti inutili e superflui piuttosto che richiedere nuovi schiavi al volante.

Ma come si sa c’è una vasta base di “titanizzati” che guarda con simpatia questi fenomeni che sostituiscono il privato con il pubblico e la libera iniziativa con i lacciuoli posti dalle istituzioni pubbliche, con la democrazia del mercato, con il vantaggio per il consumatore e il contatto diretto fra autista e passeggero, ma è fin troppo facile decostruire questi artefatti narrativi mostrando che il tassista di Uber è tutto meno che un imprenditore autonomo perché le tariffe, gli orari di lavoro, i tragitti sono tutti determinati dal moloch centrale. Ridiventa professionista e privato solo quando le spese di assicurazione, i costi dei tragitti, del mezzo e della sua usura sono esclusivamente a suo carico mentre manca qualsiasi idea di salario minimo o di contributi pensionistici. In effetti sono proprio gli autisti schiavizzati, costretti a farsi 70 ore a settimana per mettere insieme un salario di sopravvivenza, persino a fare la pipì in una bottiglia per non perdere tempo, a determinare il margine di Uber e delle sue sorelle che se operassero in un mercato con normali regole del lavoro andrebbero in perdita secca.

Ma questo costituisce pur sempre un vantaggio per il consumatore, dirà il vostro solerte barista “costretto” a evadere il fisco per pagare ai parassiti immobiliari affitti stratosferici: vero, per il momento, ma intanto si tratta di un vantaggio francamente minimo, talvolta inesistente e in qualche occasione addirittura negativo visto che in casi particolari di fortissima richiesta Uber ha alzato le tariffe oltre quelle dei normali taxi. E questo la dice lunga su cosa accadrà quanto queste imprese che prosperano sfruttando in maniera indegna la disoccupazione e la deregolamentazione del lavoro acquisiranno una posizione monopolistica. Anzi forse proprio questo spiega la ragione per la quale siano piovuti su Uber e su altre imprese di questo tipo miliardi di finanziamenti a fondo perduto nonostante le poco brillanti performance di bilancio.

Ma c’è di più: se  il passeggero come consumatore può compiacersi di un piccolo sconto, svende contemporaneamente i suoi diritti come cittadino, accettando le logiche di caporalato dalle quali prima o poi sarà egli stesso travolto. E delle quali spesso non si accorge non riuscendo a percepire il precipizio verso le logiche arcaiche se applicate a tecnologie che paiono il futuro: ma in ogni caso ci sono troppi elementi da concatenare e collegare tra loro, mentre l’egemonia culturale oltre a deformare le singole realtà, si applica anche ad evitare che si possa scorgere l’insieme oltre la barriera di frasi fatte. Anzi a qualcuno pare che questi schiavisti siano benvenuti quando danno la possibilità agli esclusi vecchi e nuovi dal lavoro, di mettere assieme qualcosa per sopravvivere: deprivati da 30 anni di chiacchiere e favole non hanno la minima idea del complesso sociale e pensano di essere immuni da questi destino, ignari del fatto che più autisti di Uber ci sono e più cresce la probabilità che lo diventino essi stessi. Forse capiranno il tranello quando ci saranno più autisti che passeggeri.