Cattiva coscienza, mistificazione, ablazione nevrotica di ogni logica: con queste poche parole si può distillare la reazione della stampa americana e dunque anche di quella occidentale, alla strage di Orlando, l’ennesima avvenuta in Usa anche se questa volta in un locale gay e non in una scuola. Non mi stupirei di scoprire che la follia dell’assassino sia stata guidata e armata da manine segrete che lavorano nell’ombra come spin doctor elettorali bagnati: non sarebbe certo la prima volta, ma tanto, anche se fosse non lo sapremo mai con certezza, quindi lasciamo perdere il complottismo inutile.
Più interessante invece è l’aura di terrorismo che è subito calata sulla tragedia, nonostante i fatti non si accordino per nulla con questa tesi. Intanto Omar Amir Siddiq Mateen, così si chiama l’autore della strage molto opportunamente morto anch’esso, era stato “attenzionato” annni fa dall’Fbi come accade del resto a tutti quasi quelli che portano un cognome mediorientale, ma lasciato perdere perché palesemente non implicato in trame terroristiche. Il terrore e le fantastischerie di morte erano invece dentro di lui, frutto del conflitto fra culture, fra guerra di civiltà propagandata dentro una società che ha il culto della forza e della violenza come quella americana, confluite infine dentro una mitomania pericolosa. Ora si dice che prima della sparatoria avesse telefonato alla polizia per annunciare il gesto e per dichiarare la propria appartenenza allo stato islamico: una sorta di corrispettivo telefonico del passaporto lasciato sul sedile della macchina, perché non ci sia mai un qualche ragionevole dubbio nell’opinione pubblica.
Sappiamo quali e quanti siano i benefici del terrorismo per le classi dirigenti dedite all’impoverimento generale e al ricatto creditizio, inevitabile una volta che si siano trasformati gli uomini in consumatori sbavanti come i cani di Pavlov al suono del campanello o dello spot in questo caso. Dunque che terrorismo sia, anche se è solo una follia delirante innescata dalla violenza metodica e organizzata delle elites occidentali, da una mitopietica paranoica propagandata in mille rivoli. Ma in questo caso un fattore esterno chiamato Isis è necessario a preservare intatta la cattiva coscienza: lo stragista infatti non solo era nato a New Yotk e non era mai uscito dagli Usa, era dunque un nativo che si supponeva dovesse aver accettato in tutto e per tutto i valori americani e il conseguente patriottismo, ma era anche figlio di due “eroi” afgani, ovvero di una coppia emigrata in Usa al tempo dell’occupazione sovietica e dunque testimonial in un certo senso dell’american way of life che non avrebbe sfigurato in un accorato racconto di Selezione dal Reader’s digest . E forse, chissà, era anche implicata direttamente nella rete di resistenza islamica che gli Usa avevano organizzato nel Paese e che prendeva il nome di Al Qaeda.
Pensare che un trentenne, sia pure non propriamente equilibrato, nato in Usa da genitori che avevano scelto gli States come terra promessa, si riveli così diverso, così estraneo e ostile al modello, è un vero colpo all’idea di eccezionalità americana, qualcosa che non può essere germogliata spontaneamente a meno che qualcosa non funzioni nel sistema quando invece sappiamo tutti che funziona a meraviglia. Fa molto comodo in questo caso arruolare le forze del male ancorché esse fossero originariamente a libro paga di Washington, come produttrici di veleni, producendo una strage così americana da costituire quasi una scandalosa violazione di copyright. Tanto più che certo Omar Amir Siddiq Mateen non è rimasto insensibile a certe caratteristiche americane come la naturalezza della violenza individuale, i culti dell’eroe solitario, il diritto al possesso illimitato di armi, l’ipocrisia del politicamente corretto che mentre produce film e discussioni edificanti, permette anche a sei stati (guarda caso proprio quelli razzisti al oltranza negli anni ’60) di elaborare leggi per la protezione dell’omofobia.
Dunque perché non fare una strage di gay che offendono un islam di fantasia costruito dai media oltreché i benpensanti? Cosa c’è di strano? In fondo si tratta di bazzecole al confronto dei massacri in nome della democrazia. E del resto come si è pregiato di spiegarci quel geniaccio politico e umano di Blair la democrazia è un sistema superiore unicamente perché i suoi disastri e le sue carneficine possono, se scoperte, essere tema di autocritica. L’idiozia umana può anche rivelarsi come autobiografia nei suoi protagonisti o come servile mascalzonaggine nei servi.
Il sionismo non si e’ secolarizzato, si e’ astutamente adeguato ai tempi, leggasi chi era dietro alla dissoluzione dell’Unione Sovietica, gli autori del protocollo “New American Century”, la faccenda del 9/11, Ucraina, Georgia, etc.
Tutto molto bello e condivisibile a parte il ricorso qua e là al sospetto di false flag, salvo poi aggiungere che forse questa volta l’idea del complotto è fuori posto. E’ vero, il pazzoide è figlio d’America, tirato su a ketchup ed eroi sparatutto, ma erano saldamente con i piedi a mollo nella “cultura occidentale” anche i kamikaze di Parigi, di Londra, di Madrid.
Quel che personalmente mi sconcerta non è tanto la ripetizione di queste tesi, quanto il fatto che ogni massacro firmato Alì o Mohammed o Yusuf provochi immediatamente l’emergere agguerrito delle due solite fazioni, la prima delle quali cavalca paure infantili verso il feroce Saladino, ma sappiamo da chi è rappresentata e forse non merita nemmeno seria considerazione. La seconda però non mi sembra meno incolpevole quando si rivela preoccupata unicamente di tenere la fede religiosa e in particolare l’islam con i suoi ministri fuori da ogni sospetto di correità, dicendo che anche noi abbiamo i nostri Adinolfi, i nostri Breivik, don Pincopallo che tuona contro il “gender”, per concludere con i rituali “l’islam non è questo”, “sul Corano non sta scritto” etc.
Invece l’islam c’entra eccome e certo c’entrerebbero anche la cristianità e l’ebraismo se la secolarizzazione della società non avesse reso ben più innocui questi due oppiacei. Ma il terzo è ancora ferocemente vitale e in alcuni luoghi diventa veicolo di valori identitari per una fetta di sottoproletariato non solo di ascendenza mediorientale come ben dimostra l’eterogenea provenienza dei fanatici del Daesh.
C’entra perchè non ha nessuna importanza quel che sta scritto sui testi “sacri”, ma è invece importante il modo in cui li si interpreta e chi è la carogna di turno autorizzata ad interpretarli.
Che il sentirsi socialmente esclusi induca alcuni ad aggrapparsi a culti salvifici fino ad immolare se stessi e gli altri è indubbio, così come lo è il fatto che parecchi autori di questi massacri non fossero affatto inseribili nel novero degli esclusi.
C’è una sorta di ritrosia nel riconoscere la correità dell’islam in questi fatti e chissà poi perchè. Come se agli occhi di molti commentatori l’islam godesse di qualche misteriosa giustificazione, anche quando a rendere ancora più agghiacciante il fenomeno compare la solita pletora di messaggini che inneggiano al pazzoide ed al suo gesto, quando non addirittura dichiarazioni criminali da parte dell’imam Taldeitali. Più che ritrosia, pare esservi il timore che il riconoscimento di tale correità possa diffondere un sentimento di ripulsa verso lo straniero e quindi il sentimento xenofobo o addirittura razzista.
Tutto comprensibile, ma voler sempre sollevare i seguaci dell’islam da qualsiasi colpa non è forse una colpa speculare a quella di chi li demonizza?
Il mio giudizio su questi e altri atti terroristici è caratterizzato da un ragionamento: se l’attentatore non viene catturato ma ucciso mi scatta automaticamente la presunzione che i suoi moventi e movimenti siano stati istigati dai servizi segreti americani che conoscendo tutto di lui per averlo fatto diventare un terrorista non hanno più bisogno di sapere se ha o non ha dei complici, se ha o non ha dei finanziatori. Lo sanno già e, quindi, lo possono tranquillamente eliminare mentre, da vivo, sarebbe un testimone pericoloso. Negli Stati Uniti infatti è normale utilizzare la tecnica dell’entrapment (istigazione a delinquere preventiva da parte dei servizi segreti o delle forze dell’ordine) in modo da poter scoprire per tempo chi potrebbe pencolare verso determinati atti di grande criminalità.
Quello che succede di solito è che l’intervento dei servizi segreti nella fase iniziale dell’entrapment viene tranquillamente ammesso nel giro di qualche settimana. Però in quel caso i media non si chiedono mai come sia possibile che i servizi segreti che hanno “coltivato” il terrorista non siano stati capaci di fermarlo in tempo. E siccome i media non se lo chiedono, anche l’opinione pubblica non se lo chiede. E i servizi segreti possono così continuare a intrappolare altre persone che senza la loro istigazione non avrebbero mai pensato a commettere atrocità del genere.