Anna Lombroso per il Simplicissimus

Il 9 marzo il Parlamento UE voterà una risoluzione che ha l’intento di “rimuovere gli ultimi ostacoli alla parità di genere”.  L’impressione che se ne trae sarebbe quella di una rassicurante ovvietà, di una confortante genericità, se il testo non fosse il prodotto esemplare della doppiezza retorica dell’istituzione che ha fatto della promozione delle differenze e delle disuguaglianze il suo proposito, in modo da garantire che si perpetui la superiorità di chi ha già e vuole sempre di più su chi poco ha e avrà sempre meno: sicurezza, lavoro, diritti, assistenza, cure, istruzione.

Ma siccome il cardine su cui gira il regime sovranazionale dell’avidità e dell’accumulazione iniqua è appunto l’ipocrisia, dovremmo supporre che venga votata con edificante ed ecumenico entusiasmo, in simpatica coincidenza con la cosiddetta festa della donna, che anche grazie all’Europa ha da festeggiare poco più delle operaie morte nello storico incendio, spesso esonerata da morti bianche sul luogo di lavoro perché lavoro non c’è, in compenso scaraventata indietro di secoli grazie ad una crisi che affama, umilia, nega prerogative e affossa conquiste per instaurare un regime globale di autoritarismo, repressione, servitù.

Invece, lo riferisce perfino la Stampa, l’unanimità non è affatto assicurata. Per via della menzione che il relatore, un belga di origine italiano, fa dei temi della contraccezione e dell’aborto, cauta e anodina come si addice a un documento ufficiale, ma che ciononostante potrebbe dispiacere ai credenti.  E infatti si temono defezioni non solo da parte dei popolari, ma anche da esponenti del Pd.

C’è poco da essere sorpresi: nel 2013, proprio nella giornata internazionale per i diritti umani, sei europarlamentari italiani che facevano parte dei socialisti e democratici (S&D) contribuirono alla bocciatura del Report on Sexual and Reproductive Health Rights,  che avrebbe impegnato gli Stati membri a fare di più per la salvaguardia dei diritti riproduttivi e l’autonomia delle donne, su questioni come la contraccezione, l’accesso all’interruzione di gravidanza, la diffusione di malattie sessualmente trasmissibili e l’educazione sessuale, ma anche nella lotta contro l’omofobia. Permettendo così che venisse invece  approvata la proposta restrittiva e alternativa dei popolari, che lasciava ampi margini al potere giurisdizionale dei singoli Stati, a cominciare dalla Spagna, per non parlare dell’Italia, dove autonomia e sovranità vengono interpretate come legittimazione a restringere le libertà personali e il godimento di diritti riconosciuti dalla Costituzione, compreso quello più arduo e sofferto, dove l’obiezione di coscienza rende impraticabile una legge dello Stato

C’è poco da essere sorpresi se una leggiadra ministra intervistata proprio in questi giorni, sfoggia un’invidiabile disinvoltura in merito ai cosiddetti temi etici, a dimostrazione che viviamo in tempi nei quali la morale è più che mai soggetta a discriminazioni in favore di chi piange, ma in Rolls Royce. E un altrettanto sfrontato disprezzo nei confronti delle donne, dell’amaro diritto a non sprofondare nell’illegalità e nella clandestinità, sancito da una legge dello Stato, dei cittadini tutti che vorrebbero che trionfasse l’amore in tutto l’arco della vita, dalla nascita a quella morte con dignità, nei cui confronti la signora ha maturato certezze assolute (anche in quel caso “deve vincere l’amore”, “decida chi ci ama”, non una legge che sarebbe “rigida”, quindi disumana .. e a chi non ci sta o è solo, non resta che ricorrere al turismo della dolce morte in Svizzera), che permettesse a chi vuole di avere figli, di crescerli in una casa degna, di farli istruire in una scuola decente da insegnanti preparati e non ricattati, di farli vivere in un ambiente sano, di nutrire speranze per un avvenire che non sia una minaccia, tutte aspettative ridotte a capricci sconsiderati che questo governo e i suoi padroni negano e non  per rivendicata incompetenza.

C’è poco da essere sorpresi se al governo non bastano i settecento milioni l’anno di denaro pubblico che vanno ad aiutare gli istituti paritari, mentre lo Stato non ha soldi neppure per rendere sicure le scuole, con un fiume di denaro che sgorga dal ministero dell’Istruzione, dalle Regioni e dai Comuni e finisce senza controlli ad enti privati.

C’è poco da essere sorpresi, se ancora una volta verrà reclamata comprensione per i credenti.

Ma c’è da chiedersi in che fede confidino e a che dogmi ubbidiscano. Se a quelli di una religione che imporrebbe indulgenza, tolleranza, compassione, solidarietà. O invece a quella teocrazia del denaro e del profitto i cui riti sono officiati da quegli inesorabili sacerdoti della giurisprudenza, quel ceto costituito da giuristi e avvocati, dai grandi studi internazionali che  predispongono principi, valori e  regole del diritto globale su incarico delle multinazionali, in grado di  trasformare una mediazione tecnica in una procedura sacralizzata. In modo da riconfermare quella supremazia della ricchezza, del mercato, della potenza  anche nel diritto  e nella giustizia  determinando la  mercificazione delle vite, delle convinzioni e delle scelte. Legiferando sui geni, sul corpo, sul dolore, sulla vita e sulla morte, sui privilegi e sul lavoro, applicando la repressione, l’arroganza e le tecniche d’impresa che spostano la gente senza più luogo, città, patria  e non riconoscendo il valore di quella lasciata per fame o guerra, quello che si vuole è  promulgare i principi di una nuova cittadinanza basata sul censo, in modo che le libertà diventate merci siano accessibili come elargizioni o esclusiva solo di chi può permettersi di pagare.

Oggi cade l’anniversario della nascita di Rosa Luxemburg, che diceva che dietro ogni dogma c’è un affare da difendere. E diceva anche che chi non si muove non può accorgersi delle proprie catene, a ricordare che rinunciare alla libertà è una colpa che non dobbiamo permetterci.