Anna Lombroso per il Simplicissimus
Non si sa se per sicumera, se per disperazione, se per ingenuità il condannato doveva aver creduto davvero che il monarca dimostrasse clemenza. Deve essere persuaso che è rimasta intatta la potenza dei suoi ricatti, che ci sia sempre un Violante in carica, con competenze assolutorie e salvifiche. Deve essere convinto che possa prendere le fattezze di “riconoscenza” il riconoscimento di analoghe e affini aberrazioni: uso personale delle funzioni pubbliche, disprezzo per la legalità, dileggio della democrazia, avversione per i principi costituzionali, così che esentando lui dall’onorare i suoi debiti si possano dispensare altri, ieri oggi e domani. E deve aver pensato che per appartenenza comune a cerchie inviolabili, avrebbe potuto godere indefinitamente di licenze, grazie, privilegi. In virtù di quel bene intoccabile, di quella rendita sacra, la maggioranza, il consenso, i voti. Quello che ora non ha, che si è dimostrato friabile e vulnerabile grazie alla rottura all’interno del Pdl, alla creazione di un gruppo parlamentare che mantiene in vita il governo del console, del delfino, dell’eterno nipote scelto ed allevato per perpetuare appunto un ruolo nepotistico, unico risultato a cui il re aspirava.
A malincuore chi pensa che questo paese, come profetizza la London School e modestamente qualcuno di noi, sia destinato aa scomparire e retrocedere perfino allo status di espressione geografica, si sofferma a ragionare su questo tema che irragionevolmente tiene sotto scasso politica, governo, parlamento, economia, umore e senso comune.
Ma come ha detto la Consulta in più di una sentenza, l’esercizio del potere di grazia, risponde a finalità essenzialmente umanitarie. Nel caso di Silvio Berlusconi in cosa potrebbero consistere le ragioni umanitarie? E come hanno commentato insigni giuristi “gli argomenti dell’accanimento-persecuzione dei giudici nei confronti del leader del centrodestra ovvero la pretesa rivendicazione di innocenza nei confronti dello specifico reato di evasione fiscale non possono essere utilizzati per motivare la domanda di grazia, dovendo darsi per scontato che l’atto di clemenza individuale ha come suo presupposto il riconoscimento della legittimità della pena inflitta”. E come è scritto in ogni manuale di diritto, l’istituto della grazia incide sull’esecuzione di una pena validamente e definitivamente inflitta. Non si spiegherebbe altrimenti la ritrosia di molti detenuti alla presentazione della domanda di grazia, proprio in ragione della rivendicazione della propria innocenza.
E allora, malgrado la promessa di carte in arrivo dall’America, malgrado la minaccia di disordinate e scomposte rimostranze dei fidi, forse un esproprio di Vuitton o Prada da parte della Santanchè, è indiscutibile la legittimità della condanna e non esistono motivi validi per la concessione della grazia. Non vi sono gravi ragioni di salute, né può dirsi che le condizioni in cui verrebbe a scontare la pena (gli arresti domiciliari presso una delle sue ville ovvero l’affidamento al servizio civile) possano essere considerate contrarie al senso di umanità che deve essere assicurato al condannato ai sensi dell’articolo 27 della nostra costituzione. Nemmeno si può sostenere nel caso di Berlusconi che la grazia favorirebbe «l’emenda del reo ed il suo reinserimento nel tessuto sociale».
E allora c’è da chiedersi perché il condannato la pretenda, perché se l’aspetti, perché pensi di meritarla, quali oscuri crediti possa vantare, sulla base di quali opachi e velenosi patti, di quali tossiche alleanze, e quali vincoli lo rendano certo di averne diritto e ancor più sorpreso per la rottura evidente di quale osceno accordo, lo stesso all’origine del ventennale assoggettamento della sedicente opposizione, della slealtà nei confronti dell’interesse generale dimostrato nel non aver mai affrontato l’interesse privato e conflittuale, per non dire della poco segreta ammirazione culminata nella ripetizione di comportamenti e modelli esistenziali, di partito e di costume.
Se ora è chiaro che quella rottura sancita dalle parole sprezzanti e sorprendentemente implacabili del re, nasce dalla consapevolezza di essersene liberato da quei patti, di essersi liberato da un’oscura minaccia ricattatoria, sapremo mai in che cosa consistesse, se non sono bastate telefonate da Berlino, sentenze in tutti i gradi di giudizio ed è stata necessaria una congiura condotta a buon fine, conducendo questo Paese all’obbrobrio di dover una qualche gratitudine ad Alfano e Formigoni, più risoluti di Civati, più fermi di Renzi, più navigati di Cuperlo?
E’ abbastanza evidente, da indizi che assurgono vieppiù al rango di prova, che il Condannato aveva stipulato patti inconfessabili (ma tanto prima o poi qualcuno li [s-]confesserà…) con gli attuali reggenti delle sorti di questo ensemble che tiene in vita le sorti politiche di questa maggioranza. Ricatti obliqui con ossari negli armadi che il dossieraggio cross over renderà sempre più visibile (pregasi tener d’occhio tutte le titolazioni de ‘Il Giornale’ e di ‘Libero’ da qui ai prossimi mesi).
Sulle carte in arrivo dal Fisco americano, viene in mente quel famoso asso nella mainica, anzi, poker d’assi, che Craxi millantò nel ’93 come estrema arma di difesa/offesa per salvarsi le posteriora, rivelatasi poi una coppia di sette di bastoni con carte napoletane per giocare a ramino (mi pare fosse una delazione di fatti risaputi su qualche tangentucola intascata da qualche dirigente dell’allora pds, ma vado a memoria, la memoria è fallace, ma non dovrei esser molto distante dall’accaduto effettivo). La domanda sorge spontanea: non poteva arrivare prima questa prova a prova di bomba esimente/scagionante invece di fargli/ci perdere un decennio e milioni di euro per arrivare al giudizio del Primo Agosto? Chi vivrà vedrà, manteniamo un laico distacco ed esaminiamo le carte ‘sine ira et studio’. Senza dimenticare che il soggetto è in grado di falsificare e pataccare tutto ciò che tange come un Re Mida all’incontrario.
In realtà, ciò che mi avrebbe fatto specie, se non fosse che l’uomo è appunto questo, e non perde occasione per dimostrarlo, soprattutto quando si sente in campagna pre-elettorale, è la schifezza che ha vomitato sui lavori socialmente utili. Si capisce che una persona che non ha mai pulito una latrina è distante miliardi di parsec/luce dal sentire comune delle persone composte di carne ed ossa (d’altronde, lui è fatto di plastica sintetica e silicone, come la ‘Senzaunché’ di filler…). Non è tanto la denuncia della sgradevolezza dei lavori umili di corvèe a basire, quella è quasi universalmente riconosciuta, ovvio (anche se c’è una metafisica della pulizia dei cessi che tanti celebri scrittori o poeti hanno magnificamente tratteggiato, uno fu Georges Perec). Lascia basito il fatto che per costui c’è un che di genetico sul fatto che lui non può pulire i cessi per diritti divino, perché lui è lui, e noi non siamo…etc (G.G. Belli, poi il M.se Del Grillo monicellian-sordiano). Ascoltare simili stronzate che neanche Pareto e Mosca ed elitisti tardo-ottocenteschi, neanche sproloquiatori alto-medievali che sproloquivano sull’ineguaglianza costituiva degli uomini, mi fa un po’ specie perché molti di questi sono purtroppo ancora tra noi (e incassano pure 11 mila euro al mese…). Purtroppo l’Italia non è diventata un Paese in cui in coro, all’unisono, nel dare un calcio nel sedere a questo zimbello, gli si gridava a sfonda-timpano:
“Noi siamo Noi, e tu non sei un c…!!!”.