Anna Lombroso per il Simplicissimus
Una busta verde pallido che giace nella buca delle lettere riserva ormai brutte sorprese.
Certo, come pensava il poliedrico e pragmatico artefice della grande ristrutturazione delle poste, Corrado Passera, chi scrive più? il postino arriva estemporaneamente, almeno a Roma, quando ha accumulato un po’ di missive territorialmente omogenee: qualche fatture, la cartolina di zia Giuseppina, l’unica che si ricorda del tuo onomastico, l’offerta dei vini Giordano e Primavera Missionaria.
Che se poi deve invece consegnarti un’allarmante raccomandata non suona due volte come da tradizione letteraria, spesso non suona proprio: non ha voglia di parcheggiare lo schizzetto, di salire, di aspettare la firma, di vedere i tratti del tuo volto contrarsi per il terrore. Così ti lascia nella cassetta la cartolina, o il più innovativo scontrino o la minacciosa busta verdolina quella degli atti giudiziari, quella di Equitalia, quella dell’Agenzia delle Entrate.
Era dell’Agenzia delle Entrate quelle che faceva capolino e mi ingiungeva perentoriamente di presentarmi a un ufficio postale definito “centrale”, ben lontano dal mio indirizzo e dal rutilante sito di Poste italiane appena restaurato tutto plastica, formica e vetri, collocato strategicamente a pochi passi da casa mia a fare muscolare concorrenza alle due o tre filiali di banche già solidamente quartierizzate.
Semplificazioni, liberalizzazioni, ristrutturazioni, efficientazioni, modernizzazioni sono i molti nomi che l’eufemistica di governo ha dato a caos, arbitrarietà, approssimazione, incapacità, inefficacia, dilettantismo. Ed anche ad inadeguatezza, impotenza e incompetenza. Per non parlare della volontà pervicace di sopraffazione e prepotenza nei confronti dei cittadini, finalizzata oltre che a profitti non sempre legittimi, a indurre timore nella gente, malessere, incomprensione e incertezza per esercitare in grande stile ricatti e soprusi e per tenerli crudelmente sottomessi.
Il grande ufficio centrale ieri registrava il tutto esaurito, salvo nell’innovativo corner del merchandise tristemente deserto con le scaffalature che offrono i libri di Volo e Faletti, games da consolle e qualche film horror, come si addice a una azienda che coniuga imprenditorialità e cultura, ed anche il dispenser dei fazzoletti di carta e dei preservativi, sempre nell’interesse degli utenti.
Ma a dare la cifra inequivocabile dell’innovazione futurista è il gran numero di sportelli, sopra i quali campeggiano gli schermi che inneggiano alle magnifiche sorti e progressive della società informatica, ai grandiosi fasti della rete, alla molteplicità di servizi offerti dal sito Poste italiane che con un clic ti trasporta nella dinamica fattività dell’azienda, nella sua agile organizzazione, dispensata munificamente alla “clientela”, chè gli utenti si chiamano così, mittenti o destinatari che siano, meglio però se correntisti.
Peccato che di nativi informatici nel grande ufficio centrale se ne vedano pochi. Perlopiù si affollano pensionati, signore anziane, qualche marginale che d’inverno si gode il riscaldamento, convenuti per ritirare la pensione, o spesso delegati per sbrigare qualche faccenda da figli e nipoti, prima di diventare fortunati possessori di conti correnti e bancomat, ma tutti concordi nel dichiarare che loro il computer “manco sanno come se accende”. E d’altra parte per sua stessa ammissione nemmeno il personale allo sportello è attrezzato per il magico clic, quello che ti fa entrare nel prodigioso mondo virtuale e neppure in quello più modesto dedicato a cambiare il numeretto di chiamata del “prossimo”. I prossimi ieri erano convenuti a centinaia: una inspiegabile misura di ristrutturazione, modernizzazione, efficientamento ha disposto di conferire in quel particolare ufficio “centrale” tutte le operazioni di ritiro delle raccomandate di gran parte di Roma.
Si, erano centinaia i naufraghi disperati che si snodavano in lunghe file giù giù per via Pozzuoli trasferendo i “si dice” e le criptiche informazioni mediante trasmissione orale come le leggende dei Nibelunghi o come il telefono senza fili cui giocavamo da bambini. E allora: “signo’ deve pija’ er numeretto ma no a sta macchina qua che non funziona, no, quella dentro e tenerselo stretto che non glielo rubbino. E poi non funzionano quei quadri coi nummeri che s’accendono, se va pe’ chiamata. Eh, nun lo sa? er sistema che ce sta qua è che attaccano allo sportello la lettera de cartone: A, B, C, D, E. A ogni lettera ce stanno 100 numeri… lei che c’ha? B 48? E allora ce n’ha per du ore bbone, che qua stamo a E 35 e a E 100 se ricomincia… E gli sportelli pe’ le raccomandate so’ 4…co’ tre o quattro impiegati, poracci, che pure se so’ de più mica possono smalti’ le pratiche: che dietro ce stanno le scatole co le buste dentro e ce devono cerca’ la lettera sua e mica ponno cerca’ tutti insieme”.
E gli ultimi della fila, sempre più irrequieti, a forza di decodificazioni aberranti, che premevano e si facevano largo per rendersi conto di persone e spintonavano e qualcuno provava a esercitare quel po’ di bonaria corruzione: “ma signo’ me so’ pijato un permesso pe’ sta qua stamattina, nun è che me vende er suo bigliettino che passo avanti, lei che è un pensionato, lei che è casalinga?”.
Accidenti a me che per passare il tempo mi ero messa a leggere l’ormai irriducibilmente senescente Bauman su Repubblica, con le sue improbabili teorie sull’ordine dell’egoismo che ha preso il sopravvento sull’ordine della solidarietà, indotto dalla fine della condivisione dei “luoghi” e degli spazi del lavoro. Come se la lotta di classe e lo sfruttamento avesse come unico teatro la fabbrica o il grattacielo in vetro delle multinazionali, come se la sopraffazione si misurasse solo nello smantellamento delle garanzie nelle relazioni industriali. Tutte sacrosante considerazioni, ormai però oltrepassate dalla fine della democrazia, dalla erosione di tutti i rapporti che regolano la polis, dalla estensione del ricatto della necessità, dell’egemonia della minaccia, del sopravvento dell’incertezza in ogni contesto. In modo da annientare critica, anestetizzare ribellione, spegnere disubbidienza, coltivando invece rancore tra simili, erodendo vincoli e sodalizi, determinando inimicizia e ostilità anche tra vittime.
Tanto che in quel “luogo”, ardente per una giornata grigia, ma calda e umida da delta del Mekong, senza aria condizionata, qualcuno ritirava le raccomandate della banca o di Equitalia si sentiva male, impallidiva e correva fuori senza guardarsi intorno a testa bassa, come per una vergogna, per una colpa. Dove come in un’allegoria si consumava l’avvertimento infame dell’esattore al servizio degli strozzini pronto a spezzare le gambe o incendiare la saracinesca. Dove scoppiavano di continuo litigi furiosi… ebbene là a nessuno veniva in mente di protestare, di andare dal “direttore” figura fantasmatica del quale si novellava la collocazione in remoti piani alti. La riprovazione, la disapprovazione violenta fino alla ribellione era unidirezionale, orizzontale, contro quello più in là nella fila, quello che vuol fare il furbo, quello sospettato di aver “santi in paradiso” che gli fanno aggirare il corteo di vittime. Un luogo dove i disperati occhieggiano dietro agli sportelli come per incoraggiare gli impiegati a far presto, vittime anche loro, a guardarli frugare nelle arcaiche scatole di cartone, quelle con dentro quei brandelli intimidatori per le loro vite insidiate. Ma sospesi e dimentichi quasi della minaccia, sperduti nella smaniosa fatica sterile dell’attesa, scandita dall’avvicendarsi del cartello, sostituito con inesorabile lentezza, con quelle lettere scritte a penna, A, B,C, D, E, desueto paradosso simbolico, solidamente collocato e imperituro nella fulgida e sgargiante narrazione della modernità.
E infatti proprio mentre uscivo, dalla fila ormai esile e infine ordinata, liberatorio, crudo, inesorabile si è alzato un grido, annunciato, prevedibile …. eppure sorprendente: quando c’era lui certe cose non succedevano.
ero renitente a scrivere questo pezzullo, per paura del “bozzettismo”. ma ero stata così colpita amaramente dalla triste amara acquiescenza, quella risentita ma atona impotenza a reagire. E quella violenza mal repressa.. Avete ragione, ci sono poche speranze
L’ufficio postale: crogiolo di realtà sociale; e in questi mesi in cui piovono ingiunzioni, scadenze e varie persecuzioni via r/r dovrebbe essere obbligatorio che vi passino almeno ogni mese una mattinata da sudditi anche lorsignori presidenti di vario livello e tutti quelli di cui parlava Rino Gaetano sintetizzandoli con:
“onorevole eccellenza cavaliere senatore
nobildonna (fornero? ndr) eminenza monsignore
vossia cherie mon amour
nuntereggaepiù ”
Il fatto è che la generazione che diceva “aridatece er puzzone” è ormai estinta, quelle che gemono il si-stava-meglio-quando-si-stava-peggio in realtà sbraitano a gran voce “nutereggaepiù” ma hanno evidentemente una infinita, autolesionistica, capacità di reggere. Forse tornano a casa e, invece di scrivere o ragionare, accendono la tv e sgranocchiano gli avanzi della cena.
Non ci resta che leggere Anna Lombroso.
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Cara Anna, il tuo sembra proprio un romanzo d’altri tempi, un romanzo d’appendice del secolo in cui la maggiorparte degli Italiani erano ancora sudditi ed analfabeti. Non perchè non corrisponda al vero ciò che scrivi, tutt’altro. Perchè ci siamo ridotti a sopportare tutte le prevaricazioni possibili da una massa di delinquenti, affaristi, ladri di democrazia e giustizia oltre che di denaro pubblico da spartirsi con i loro complici.
cara Anna,
com’è tristemente vero quello che scrivi
parole vuote risuonano a coprire scelte che vanno in direzione opposta
la decantata semplificazione razionalizzazione efficientizzazione (che brutta parola) si risolve in crescenti complicazioni disagi sorprusi ingiustizie
Roma come ogni centro in cui le poste operano
le poste un paradigma di quello che succede in questo disgraziato Paese
che rimpiange sempre più spesso un disgraziato passato
ma perchè succede?
me lo chiedo spesso
torno adesso da un periodo di lavoro in Inghilterra
patria e madre (non sola) di quel liberismo economico che oggi stiamo sperimentando
ma che differerenze
là i servizi funzionano, le poste, i trasporti pubblici, i servizi medico-ospedalieri, l’istruzione, la ricerca, …
ed è un Paese che cresce, certo con enormi differenze e distanze, ma che sembra aver risolto alcune questioni fondamentali
non dico che sia la società ideale, non è questo il punto
è che da noi accade il contrario
la causa non è quindi il modello economico, per quanto discutibile
sempre più mi convinco che la causa di questi processi sia complessa e radicata nella storia e nella cultura
ma su tutto mi sembra che alcuni elementi prevalgano
questo è un Paese dove la giustizia da lungo tempo non viene applicata
dove la furbizia, la trasgressione delle norme è stata assunta a norma e spesso legalizzata
un Paese dalla doppia morale (del peccato tolto in confessionale fosse anche la nostra sola coscienza)
dove l’interesse privato ha scalzato quello pubblico
dove l’incapacità spesso prevale e schiaccia la capacità
il male colpisce ovunque e diffusamente se pur con modalità e responsabilità diverse
maggiori per la classe dirigente
per quel partito che dovrebbe guidare il cambiamento il rinnovamento
che è ogni giorno più lontano dai bisogni delle persone e dal valore delle cose
i cui rappresentati mostrano un malsano attaccamento al potere e al privilegio
ma il cancro è diffuso nel sistema sociale
le persone, io con loro, sono e siamo troppo spesso complici
spesso forzati dalla necessità e per questo possiamo essere compresi ma non giustificati
il benesssere in nome del quale si dice di voler agire
è in realtà un mostro creato da un distorto pensiero socio-economico
in cui il valore della vita della natura del sapere …
sono stati ridotti a valori monetari senza alcun reale significato
se non quello di giustificare e indirizzare a scelte
che servono solo all’interesse di pochi a scapito dei più
con i maggiori costi scaricati sui più deboli, i più poveri, quelli che verranno
quelli con la più bassa disponibilità e possibilità di pagare
e che proprio per questo andrebbero maggiormente tutelati
è il rovesciamento dei valori e il sonno delle coscienze il male profondo che soffriamo
quello che vediamo ne è il frutto marcio