Joseph Ackermann, attuale ceo di Deutsche Bank che l'anno prossimo lascerà l'incarico

Il governo è tecnico, così è stato presentato, ma in realtà ha un programma politico preciso che rende ragione dell’ostinazione ideologica con la quale vengono battute strade assolutamente marginali dal punto di vista dell’economia reale: esse accreditano il Paese presso le banche e in generale la finanza. Tutti comprendono che il ventaglio di liberalizzazioni del Cresci Italia ha un che di ridicolo, è come una decorazione di un arrosto che non esiste o meglio di un arrosto che non si vuole toccare: serviranno a poco o a niente, anzi rischiano di creare un clima di tensione, tuttavia sono, come dire, il giuramento d’ Ippocrate dei medici voluti dall’Fmi e dal sistema bancario.

Questo è stato chiaro fin da subito, viste le aderenze e le carriere dei luminari chiamati al nostro capezzale, ma questo poteva essere scambiato per un atteggiamento pregiuziale, complottistico o nel migliore dei casi generico. Ma ora invece è venuto alla luce un documento interno della Deutsche Bank, agghiacciante per la sua ideologia di fondo, ma anche suggeritore delle misure che vediamo in campo in queste settimane. Dire Deutsche Bank, non è dire una banca qualsiasi, essa è centrale dentro la vicenda politica ed economica di questi anni: molto internazionalizzata tanto da avere il 21% dell’interscambio monetario nel mondo e nello stesso tempo fortemente tedesca è anche molto radicata in Italia che è stato il suo primo mercato di espansione. Molto stimata e anche molto chiacchierata, non è una banca qualsiasi, ma rappresenta in qualche modo la cultura del credito e della finanza che unisce cinismo, pochi scrupoli e filantropia teorica e a buon mercato: tutti tratti che possiamo riconoscere facilmente anche nell’attuale potere nostrano. E per altro svolge una sorta di attività di rating ufficiosa sulle maggiori banche mondiali. Insomma condiziona il mercato

Dunque il documento interno e segreto che riporto qui nella sua versione integrale in inglese (Deutsche bank vertrauliches Dokument ) parte da alcuni principi generali del tutto falsi nella realtà, ma che costituiscono la stella polare della finanza: le aziende private operano in maniera più efficiente e più innovativa; il mercato deve avere sempre la precedenza perché lo stato non è un buon imprenditore; il ruolo dello stato dev’essere limitato alla sicurezza interna ed esterna e alla promulgazione di un ordine legale per garantire il mercato; il settore privato deve gestire anche i servizi di interesse generale e quelli pubblici come la distribuzione idrica, la sanità poiché anche questi possono essere considerati beni privati.  

Questa la filosofia generale. Ma ci sono capitoli dedicati a diversi Paesi europei, tra cui ovviamente l’Italia. ecco la parte dedicata a noi:

Il governo è stato uno dei principali attori dell’economia italiana per molto tempo. A lungo  l’Istituto per la Ricostruzione Industriale, ha avuto in portafoglio fino a 1.000 imprese e 500 mila dipendenti. Infine, nel 1990, un ampio processo di privatizzazione e deregolamentazione ha ridotto la presenza del governo nelle 
aziende. Questo processo è stato però segnato da inefficienze e cattiva allocazione delle risorse, soprattutto perché le imprese pubbliche servivano per preservare posti di lavoro. Più della metà degli introiti della privatizzazione sono stati generati tra il 1997 e il 1999 con la privatizzazione parziale i imprese e strutture nel campo delle telecomunicazioni, dell’energia (ENEL in particolare), delle infrastrutture (autostrade) e dei trasporti. Tuttavia, oggi il governo ancora possiede partecipazioni in grandi utility di energia e nel settore aerospaziale. Inoltre, la privatizzazione non è stata applicata alle imprese a livello comunale. Un notevole
eccezione qui, però, è il settore bancario, dal quale enti pubblici e governo sono usciti nel corso degli ultimi dieci anni.

I comuni offrono il maggior potenziale di privatizzazione. In una relazione presentata alla fine di Settembre 2011 dal Ministero dell”Economia e delle Finanze si stima che le rimanenti imprese a capitale pubblico abbiano un valore complessivo di 80 miliardi di euro (pari a circa il 5,2% del PIL).

Inoltre, il piano di concessioni potrebbe generare circa 70 miliardi di entrate. E questa operazione potrebbe rafforzare la concorrenza. Il documento ministeriale prevede anche entrate pari a 10 miliardi per
la concessione dei diritti di emissione di CO2.
Particolare attenzione deve essere prestata agli edifici pubblici.La Cassa Depositi e Prestiti, dice che il loro valore totale corre arriva a  421 miliardi e che una parte corrispondente a 42 miliardi non è attualmente in uso. Per questa ragione potrebbe probabilmente essere messa in vendita con relativamente poco sforzo o spesa. Dal momento che il settore immobiliare appartiene in gran parte ai Comuni, il governo dovrebbe impostare un processo ben strutturato in anticipo. Per come stanno le cose oggi, il Ministero dell’Economia e delle Finanze si aspetta proventi immobiliari da cessioni per un totale di 25-30 miliardi di euro oltre a risparmi sui costi di 3 miliardi di euro all’anno.

Insomma secondo le informazioni ufficiali, il patrimonio dello Stato (compreso quelli delle regioni e dei comuni, ad esclusione potenziale
dei proventi derivanti dalla vendita dei diritti di emissione) potrebbe raggiungere in valore complessivo di 571 miliardi, vicino al 37% del PIL. Naturalmente, il potenziale può anche essere ampliato.L’OCSE raccomanda un’ ulteriore privatizzazione delle infrastrutture, come il sistema di approvvigionamento idrico in particolare. Proprio questa ultima proposta sembra avere senso, soprattutto perché vi è la necessità di  investimenti in questo settore visto che viene perso un totale del 30% dell’acqua distribuita.
Tuttavia, per questo c’è l’ostacolo di un referendum.

Fino ad oggi, l’Italia ha cercato di mantenere la propria influenza pubblica nelle  privatizzazioni delle aziende. Ciò è dimostrato ad esempio dal Consiglio europeo che ha formulato nel febbraio del 2011 una richiesta perché venga emendata la legge che consente al governo di evitare che gli investitori privati acquistino azioni di società private in settori di importanza strategica.
Tuttavia, il programma economico più recente del nuovo ministero rafforza le speranze che il governo abbia ora intrapreso un nuovo percorso.

Come si può vedere nel dicembre di quest’anno Deutsche Bank aveva formulato il programma di governo nelle sue linee essenziali e nelle sue filosofie oltre ad esprimere fiducia nei molti soldini che entreranno nelle casse dell’istituto con le privatizzazioni.