Il piano industriale di Marchionne

Così si intitolava una delle prime commedie di Eduardo. E così si intitola la farsa italiana della Fiat. Anche ieri Marchionne dal Canada ha rilanciato e aggravato il suo ricatto: se non mi dite s^ produciamo in Canada.

Però Marchionne da manager mediocre qual è, ha esagerato e ha involontariamente mostrato l’inconsistenza delle sue parole: dopo il catastrofico insuccesso della 500 sul mercato Usa, mi chiedo che cosa andrebbe a produrre e cosa gli comprerebbero. Ad eccezione della Panda, l’insieme dei modelli del gruppo ha una penetrazione al di fuori del mercato italiano meno che modesta. E quel poco per la metà è dovuta agli emigrati di origine italiana che sfidando il buon senso comprano Fiat.

E non c’è da stupirsi: la produzione del gruppo è mediocre: solo la motoristica tiene. I telai sono più pesanti e meno rigidi, le tolleranze di fabbrica doppie rispetto alla migliore concorrenza (e questo significa risparmio), il resto della meccanica davvero modesto. Tanto per dire l’insieme cambio trasmissione dei modelli medi Fiat assorbe il 28% in più di energia di quelli medi Volkswagen.

Che cosa produrrà Marchionne in Canada? Non certo i modelli che vende qui. E che fa li trasporta in Italia? Non si rende conto che in mancanza di veri progetti e innovazioni è proprio quella italianità che lui stesso sta distruggendo l’unico “valore” aggiunto?

L’assenza di un governo e di una politica rischia di far vincere ancora una volta un bluff chiarissimo come è stato per Pomigliano, come è stato per la minaccia di andare a produrre in Serbia, dove invece l’impianto per la topolino era già in costruzione e gli accordi siglati già dal 2008.

Marchionne ha in mano una coppia di sei, ma può ricattare perché questo Paese non ha più una classe dirigente, ma solo bari che hanno perso l’asso nella manica e fingono solo di averlo.