Un fotogramma dello spot della Lavazza

Sabina Ambrogi per il Simplicissimus

Stiamo vivendo l’epoca del disgusto per le veline, soubrettine, simbolo di pensiero unico berlusconato. Anonime fattezze femminili, traduzione delle veline di carta del Minculpop. Le veline di carne obbligatorie, infatti, sono censura di informazione, depistaggio da questioni cruciali, captazione nevrotica di attenzione, sono censura di intelligenza femminile, e patetica resistenza patriarcale. Sono il simbolo della fine del desiderio maschile e femminile, della sua trasformazione in pulsioni controllate dal “mercato”, quel feticcio di fallimenti a catena intorno cui si sono costruite le migliori catastrofiche considerazioni e prese le più disgraziate decisioni.

Sono raffigurazione unica e banale di pulsioni maschili al grado zero, azzeramento del desiderio che ha bisogno di viagra per sopravvivere. Sono frustrazione e emulazione femminile che si affida al mercato della chirurgia plastica, fino a consentire di diventare un mostro. Sono la rappresentazione di virilità posticcia leghista da contrapporre all’immigrato. Le veline di carne obbligatorie sono la rappresentazione simbolica della negazione all’accesso al lavoro e alla carriera delle donne competenti (cioè di milioni di cittadine) e quindi suprema sintesi del ritardo culturale, civile e soprattutto economico di un paese.

Sentivamo in questa società decomposta dall’industria sottoculturale e dal marketing, e dalla politica che li avalla e che si esaurisce nella sola comunicazione, la mancanza di una pubblicità Lavazza con Julia Roberts che sorride, muta? Ancora? Con quei due che ritraggono l’Italia repressa, moralista e frustrata di Berlusconi? E per le donne, qual è il messaggio di quello spot? Quante donne si sentirebbero felici a farsi corteggiare, in quel modo anni’ 50, da uno come Bonolis? Ancora una volta devono essere belle e stare zitte? Con l’Italia e l’America che affondano senza soldi, con una crisi economica feroce, è giusto pagare una tizia un milione e mezzo di euro per restare muta e comunicare a milioni di destinatari di quello spot la metafora di un paese inchiodato alla sua arretratezza? E poco importa che quella è una star mondiale. Anzi, rafforza la potenza del messaggio, che suona pauroso e fuori luogo.

Come è mai possibile che la nostra nausea non arrivi precisamente ai pubblicitari che dovrebbero essere i primi a intercettare umori e cambiamenti? Perché non rivedono i loro focus group? Perché non lavorano con menti fresche e evolute? Perché non capiscono che quella è roba da vecchi? Che non è affatto “ironica” come ci si affretta sempre a dire. Che quello è lo specchio di un’ Italietta puttaniera e clericale, ammiccante e triste. Specchio di un’ Italia che non desidera più e che nemmeno compra più.

E che se quella vuole essere la Venere del Botticelli, si fa solo un torto a Botticelli e alla cultura.

Perché non arriva agli industriali e ai pubblicitari il disgusto per un’ Italia di ricchi falliti come il mediocre Sallusti, messi in luoghi di potere da farabutti potenti? Che, per paura, respingono ai margini gli intelligenti e i capaci, facendo arretrare il paese? Un’Italia di donne patetiche, alle quali paghiamo stipendi e scorte per difenderle dalla loro insipienza. Che si definiscono imprenditrici per aver organizzato feste con evasori e battone al Billionaire, e che ora amministrano la res pubblica, diventata il regno di battone e di ladri evasori.

Ricordiamo infine a Confindustria, nello specifico Lavazza, e Armando Testa (agenzia pubblicitaria autrice dello spot) che i cambiamenti e il progresso avvengono, anche attraverso questi messaggi, che come è noto sono ingiunzioni di comportamento. Quindi si cambia e si fa impresa non solo licenziando, e riducendo i minuti di pausa degli operai che massacrano il corpo alla catena di montaggio, o facendo firmare lettere di impegno di non-maternità alle donne, o facendo impresa in Romania.

E che quando un’industriale parla di riforme e di progresso, capisca prima molto, ma molto bene quello che dice e di che mezzi si serve per rappresentare se stesso, in quali spazi di subcultura investe per farsi pubblicità, il paese in cui si trova, e come comunica al suo primo sostentamento, cioè ai consumatori.

Perché poi sentirli piagnucolare o discettare su progressi e riforme dopo aver incoraggiato in tutti i modi la decomposizione sociale è veramente insopportabile.