L’idea è: “un progetto per l’Italia”. Così i poveri elettori del Pd apprendono che questo progetto ancora non c’è. E non solo: apprendono che si tratta dell’ennesimo mantra per venire fuori dalle impossibili divisioni interne tra clericali centristi e laici di centro sinistra. Tra i veltroniani e la loro ossessione per il bipolarismo e D’Alema che invece vuole parlare con Fini, probabilmente per sputtanare se stesso e il presidente della Camera insieme. Nessun piccione con due fave, comme d’habitude.

Mentre prosegue il progetto autoritario di Berlusconi e quello separatista della Lega che ora vuole persino le banche, si assiste a un rito di tradizione democristiana tra perdenti che confessano apertamente di avere visioni completamenti differenti e nessuna idea globale. Un’assemblea di indecisi a tutto.

Ricordo bene come il declino delle vendite Fiat in Italia diventò inarrestabile quando Cesare Romiti, nel tentativo di tamponare i primi segnali di declino e la sua propria carica di AD, se ne uscì con la promessa della “qualità totale”, ottenendo l’effetto di chiarire ai consumatori che le auto del gruppo non avevano precisamente una qualità europea.

Ora noi elettori cosa dovremmo dire di un partito che per nascere ha affossato un governo, per crescere ha eliminato la sinistra e  ringiovanito Berlusconi, per evitare scissioni ha finora sussurrato di fronte a una crisi economico -istituzionale di dimensioni epocali  e che ora ci dice di volere un progetto per il Paese che avrebbe dovuto invece essere alla radice della sua nascita?

Io lo so cosa vorrei dire. Ma non mi piacciono le parolacce.