Anna Lombroso per il Simplicissimus

La Lista di Spagna a Venezia è il “rio interrato” dove un tempo risiedeva, in un palazzo oggi diventato hotel, la delegazione diplomatica spagnola. Nei giorni scorsi (lo testimoniano i filmati in rete) è stata teatro di un incidente che ha replicato un’acqua granda con allagamento di atri, negozi, cantine, esercizi: una tubatura si è rotta per scarsa o nulla manutenzione a dimostrazione che ci vuol poco a infliggere una ferita mortale a una città.
In realtà sono poche le istruzioni per assassinare una città.
Si comincia dalla sospensione di ogni pratica di sorveglianza e manutenzione dei servizi essenziali e del territorio affidati a imprese subappaltate a costi ridotti oppure più verosimilmente nella loro qualità di sedi clientelari dove alimentare scambi di voti.
Si prosegue allestendole in veste di location per eventi eccezionali che richiedono misure speciali, commissariamenti, autorità investite di poteri straordinari o per opere di “pubblica utilità” che si rivelano ben presto macchine mangiasoldi e fabbriche di speculazioni e malaffare.
Se si tratta di città d’arte, ma va bene anche la chiesetta romita, la si converte in albergo diffuso, percorso da file di pellegrini, località da annoverare tra quelle irrinunciabili del turismo di massa, che invece i privilegiati possono godere di relais e accoglienza esclusiva.Al tempo stesso per quelli che non possono o non vogliono approfittare delle opportunità del low cost ecco pronte le imitazioni, a Las Vegas come in Cina, intere Venezia ricostruite con rii, ponticelli, palazzi in miniatura o a altezza reale così perfetti da appagare i visitatori veri o virtuali.

La si affida a cattivi amministratori – ed è evidente la responsabilità diretta o indiretta dei cittadini. Basta guardare agli ultimi sindaci della Serenissima. Di Cacciari sappiamo che è ricco di famiglia e non gli serve rubare. Peggio ancora, allora è per intima convinzione che ha voluto lasciare un’impronta con un ponte della più prestigiosa archistar del tutto superfluo e che continua a mungere denaro, che ha dato un avvio prodigioso alla privatizzazione del patrimonio pubblico: Fondaco dei Tedeschi, isole da convertire in relais, albergoni con licenza di espansione come il Santa Lucia. A Cacciari, quello che in occasione di acque alte di particolare gravità consigliava agli amministrati di comprarsi gli stivali, è seguito il grigio Orsoni coinvolto nel leggendario scandalo delle tangenti per il Mose e scomparso anche dalla memoria collettiva, né più né meno di più di più influenti criminali interessati dalle inchieste.

Oggi la città è governata da Brugnaro un uomo della terraferma, un imprenditore che vuole fare della città d’arte il jukebox da cui mungere quattrini per nutrire, valorizzare e “implementare” Mestre, il cui profilo si dovrebbe arricchire di quei grattacieli che non piacciono più nemmeno a Dubai, che pensa di poter rifilare il Mose a quei copioni dei cinesi che magari sono disposti a pagare caro il know-how della prodigiosa opera ingegneristica.
Meglio ancora se ricorrentemente la città è investita da tremende catastrofi “naturali”, imprevedibili e incontrastabili che impongono fondi a disposizione di entità allestite da hoc, enti locali inefficienti, imprese private che si prestano generosamente. Terremoti, inondazioni, frane diventano opportunità, occasione irrinunciabile per una oliata macchina dell’emergenza che scavalca l’interesse generale per imporre quello privato. A Venezia nella notte del 12 novembre 2019 è stata sommersa da 187 cm di acqua che per tre giorni hanno allagato tutto il territorio, mettendo in ginocchio attività, esercizi, tirando fuori la povera gente dai piani più bassi e incrementando il senso di abbandono dei residenti che soffrivano mentre là, come un Moloch crudele si vedeva il profilo della formidabile opera che era già costata alla collettività oltre 5.493 milioni di euro.
Ci vuol poco a assassinare una città. Basta avere paura del suo passato e dunque del suo futuro, dei suoi cittadini: e ce ne sarà ancora qualcuno che lotta per la sua identità e dignità, anche se ormai ammontano a 49.625. SE queste città come si è solito dire sono patrimonio comune, comune è la responsabilità di difenderle.