Ha proprio ragione Alastair Crooke quando dice che l’appoggio occidentale alla strage di Gaza è la goccia che ha fatto traboccare il vaso e che l’Occidente sta affondando sotto il peso della sua stessa ipocrisia: la reazione violenta contro chi protesta contro le stragi e il fatto di considerare nemico il resto del mondo perché percepito come recalcitrante al catechismo delle regole che variano a seconda degli interessi dell’impero, stanno innescando una ostilità altrettanto radicale contro l’Occidente. La guerra in Ucraina aveva posto le premesse per la creazione di un mondo alternativo, ma ora la vicenda di Gaza sta accelerando questo processo: sta  spingendo la Cina più vicino alla Russia e velocizzando la confluenza dei Brics. In parole povere, il mondo  di fronte ai massacri a Gaza e in Cisgiordania  non intende più rispettare l’ infida interpretazione occidentale del diritto internazionale.

Fondamentalmente è accaduto che prima il conflitto in Ucraina con il cinico utilizzo di carne da cannone per soddisfare la pornografia geopolitica del mondo anglosassone e poi la vicenda palestinese con i suoi bombardamenti contro i civili, del tutto inutili per stanare Hamas che comunque è stata al soldo di Israele per molto tempo, hanno trasformato l’Occidente da mediatore, sia pure in malafede, in un contendente diretto che non tollera critiche al suo operato né all’interno né all’esterno. Prima il mondo del Washington consensus voleva presentarsi come una specie di arbitro anche se ovviamente faceva esclusivamente i propri interessi, ma adesso tutto questa scenografia  è stata vanificata. Al posto dell’arbitro ora c’è un giocatore e un baro.

È  proprio la vicenda palestinese che ha portato alla luce meglio di quanto non si potesse il tentativo di trasformare silenziosamente in tirannia i regimi liberali occidentali. C’è una evidente negazione della realtà e della storia per evitare di considerare i palestinesi come persone dotate di umanità e di diritti per non dover ammettere che l’appoggio a Israele in questo tentativo di genocidio è eticamente insostenibile, qualunque bizzarra teoria sulla coincidenza tra antisemitismo e antisionismo si voglia imporre: un giorno queste deiezioni mentali saranno motivo di ridicolo anche perché pure i palestinesi sono semiti. Così si cercano pretesti miserabili come ad esempio quello che la lotta palestinese è solo uno strumento di potere dell’Iran e altre simili fesserie con le quali si vuole coprire la realtà della strage mettendoci sopra qualche astratto discorso.

Tutto questo crollerebbe come un castello di carte se non fosse che non si percepisce più la limitazione della libertà di opinione e di parola come un vulnus al sistema democratico, ma come una difesa dalle falsità di presunti nemici, speso creati ad arte. Questo è in realtà un classico processo di formazione della tirannia che toglie la parola in nome di un pericolo intrinseco nelle idee, e tuttavia non vedere la grossolanità del discorso consente all’ordine costituito e ai suoi sudditi di non sentirsi ancora preda della propria ingiustizia.  È solo un trucco.

In qualche modo appare chiarissimo in mezzo alle bombe che cadono su Gaza abitata da non persone, da non famiglie, da non bambini, da non esseri umani, perciò su gente indegna di avere un proprio territorio e una propria visione delle cose, che si fa strada – questa volta in maniera sanguinosa – il progetto generale del neoliberismo di sradicare gli individui dal loro contesto.  Qui assurdamente per creare uno stato razzialmente puro di Israele, altrove per favorire l’omologazione e l’abilizione delle culture: il tentativo complessivo, in atto anche da noi, è quello di far credere che possa esistere una sorta di società progressista dettata dall’alto senza territorio, senza sovranità e senza diretta partecipazione. Ecco perché – al di là della stessa ferita morale che la strage di Gaza ci procura – siamo tutti palestinesi o dovremmo esserlo rifiutando non solo l’orrore presente, ma anche le gabbie che il futuro ci sta preparando.