Anna Lombroso per il Simplicissimus

Quale maligna potenza demoniaca ha la forza di convertire uno scialbo e apparentemente inoffensivo professore universitario addetto alla contabilità in un mostro posseduto da ambizioni sfrenate, deliri di protagonismo e che si sente investito di una funzione pedagogica utile a discernere chi merita un minimo sindacale di benessere e chi invece è giusto sia condannato alla marginalità?

Quali  doti deve possedere un innocuo tecnico amministrativo per diventare un jolly pronto a ricoprire ruoli influenti al servizio di un regime sanguinario e disponibile a impiegare una fama di integrità super partes per  attuare disegni feroci di sopraffazione e imporre costumi austeri, frugali, punitivi, in grado di rieducare una massa indolente e pigra?

Quando ne serve uno lo schieramento dei neoliberisti liblab ne ha sempre pronto uno, Carlo Cottarelli,economista e editorialista, ex direttore del dipartimento Affari Fiscali del Fondo Monetario, designato nel 2018, ma poi trombato da Mattarella, in qualità di presidente del Consiglio, considerato il sacerdote irrinunciabile delle periodiche revisioni della spesa pubblica e perciò simpaticamente ritratto dai vignettisti attrezzato con mani di forbice.

Instancabile, ubiquo, onnipresente va a sapere dove trova il tempo di pubblicare a raffica indispensabili contributi cofirmati con personalità influenti, Napolitano, Padoa Schioppa, Tremonti, tutti appartenenti allo stesso Gotha, a quell’enclave abituata a parlarsi addosso e all’interno della propria cerchia, che con ogni esternazione e atto mostra il suo inevitabile disprezzo per la gente. Dobbiamo a lui nel 2021, quando diede i primi segnali di voler scendere in campo, l’accusa all’opinione di non “volere la politica” e dunque le riforme che assiduamente e tenacemente un ceto superiore di specialisti disegna ma che hanno bisogno della prassi che il popolaccio rifiuta preferendo una neghittosa indifferenza e acquiescenza.

Eh si, proprio non si meritano di stare meglio, di costruirsi il loro destino e infatti pur legato ancora al concetto di meritocrazia, asse portante dell’ideologia neoliberista, ne immagina una corretta modernizzazione meno retorica e narrativa, in modo che l’autorganizzazione degli interessi al di fuori delle regole di mercato possa liberamente svilupparsi, detenuta com’è da chi sta in cima alla piramide sociale, ma che, attraverso qualche aggiustamento di facciata, dia un po’ di guazza a chi invece sta alla base, in modo da illuderlo di garantirsi condizioni minime di sopravvivenza.

A compiere questa opera a elevato contenuto moralizzatore è chiamato lo Stato che torna in campo in modo da combinare il ruolo ricoperto di questi anni di onlus finanziatrice di multinazionali in sofferenza, con le funzioni di ufficiale pagatore a tutela di minimi interessi collettivi, anche allo scopo di dare la percezione che tutti possano partecipare di una libera competizione in uno stato di parità, mentre vengono distrutte le ultime difese di ultimi e penultimo in modo da proteggere e rendere ancora più smodate le prerogative ereditate o conquistate grazie alla fidelizzazione e all’assoggettamento di chi è collocato in alto.

Adesso si è deciso, accetta le lusinghe della politica attiva dopo promesse mancate e interessati adescamenti, pronto a assumersi l’oneroso compito di grande riformatore.

E difatti gli è capitato di ricordare che in anni passati l’Italia ha tentato le riforme strutturali, citando lo Statuto dei Lavoratori e quella del Servizio Sanitario, omettendo, ma sarà un caso, quella primaria  e tradita della nazionalizzazione dell’energia elettrica, ma elogiando quella del lavoro frutto avvelenato del Governo Renzi, in modo da consolidare il principio secondo il quale gli interventi che devono promuovere lo sviluppo “equilibrato e redistributivo” sono le privatizzazioni, l’integrazione delle regole del mercato- e del profitto – come leggi naturali in grado di favorire crescita e superamento di quelle disuguaglianze che hanno sortito povertà, corruzione, inefficienza.

E come stupirsi se oggi la Giunta comunale di Roma lancia un accorato allarme: i rifiuti li raccolgano i privati, presto anche i cittadini, perché la Capitale non subisca l’onta e l’umiliazione di quei cassonetti traboccanti se l’Ama “non ce la fa”.

Compreso del compito arduo di modernizzare il pensiero economico e cambiare la mentalità lavorativa degli italiani ancora legati a convinzioni e aspettative di tipo corporativistico e protezionistico dice di essere in cerca di un’idea, proprio così, auspica, ci vuole un’idea. Continuamente invitato in tv, nei faccia a faccia, nei festival dell’economia si candida a produrre la “soluzione”.

Con il passare degli anni ha deciso di mostrarsi più addomesticato e mansueto in modo da adattare gli stilemi, i canoni e le procedure dell’austerità a un popolo sfiancato da un susseguirsi di emergenze, umiliazioni, privazioni, necessarie è vero per educarlo alla penitenza ma che potrebbero produrre effetti collaterali avversi.

Perché ci sarà pur qualcuno che ricorda l’inanellarsi di fallimenti, previsioni sbagliate, promesse farlocche, stenti imposti come doverosa rinuncia in cambio di sicurezza e sopravvivenza. Qualcuno ricorderà che l’austerità si declina in tanti modi anche con l’elemosina pelosa del Pnrr  che ci obbliga a indebitarci per essere all’altezza di parenti serpenti che sprezzanti ci guardano dall’alto obbligandoci all’abiura di ogni scampolo di democrazia.

Così eccola la sua idea: più Stato e più politica, a togliere le castagne dal fuoco dei potentati che declinano ogni responsabilità del passato, del presente e del futuro. A impegnarsi per la totale definitiva finanziarizzazione di ogni bene, ambiente, lavoro, risorse, uomini da convertire in asset, a cominciare dallo stato sociale che va posizionato sugli scaffali del mercato globale per assicurarci una società medicalizzata e organizzata per mantenere popolazioni a eterno rischio.

Ci tocca anche la vergogna di sentir dire a uno sbrigafaccende dell’oligarchia che si comincia a capire che il capitalismo non sa garantire opportunità e solidarietà e dunque servono i riti della democrazia per reindirizzare scelte, ricorrere alle elezioni perché la gente si assuma l’onere delle decisioni vitali, grazie, ma è ovvio, alla luce delle sue immaginifiche idee.