Anna Lombroso per il Simplicissimus

Ci sono tanti modi per mettere le mani sulla scuola pubblica. Il più potente consiste nell’impoverirla, nell’umiliare gli insegnanti, ricattandoli e condizionandoli in modo che diventino partecipi e ripetitori di messaggi coerenti con la religione del mercato che ci vuole capitale umano da sfruttare mettendo ai margini che non si allinea, penalizzato in quanto eretico e parassita.

L’effetto desiderato consiste nel valorizzare il sistema educativo privato, più organizzato e nel quale le famiglie diventano clienti e investitori con diritto di parola e di orientamento proporzionato al volume di spesa stanziato, sia nella struttura scolastica che nelle risorse aggiuntive collocate in corsi, impiego profittevole del tempo libero, viaggi di istruzione come esemplarmente rappresentato dal curriculum che sono tenuti ad esibire i candidati alla maturità.

Lavorano in questo senso le regioni e non solo quelle chiaramente secessioniste che chiedono autonomia differenziata anche in questo settore per poter godere di finanziamenti speciali e sovranità particolari sottoponendo l’istruzione al loro controllo politico, come per la sanità.

Le oscene discriminazioni tuttora esercitate del governo della pandemia hanno dimostrato che la categoria dei docenti è frammentata, influenzabile, malgrado siano molti quelli che si sono investiti del compito di sacrificarsi per la tutela dei diritti sospesi e cancellati.

Non stupisce d’altra parte, si tratta del bacino elettorale del progressismo nelle sue varie declinazioni, che ha ridotto l’antifascismo alle piazze delle sardine e a Bella ciao, dove ora sventolano le bandiere con i simboli nazisti e quelle non diversamente naziste dell’alleanza che dal ’49 a vario titolo muove guerra ai popoli della terra e anche nel cuore d’Europa, che fa retrocedere l’ambientalismo a ecologia domestica senza olio di palma soppiantato dal nucleare pulito di Greta, che ha ridotto il femminismo all’esaltazione del processo di sostituzione di camerieri del potere maschi con inservienti femmine più risolte e ambiziose, che ha sminuito pacifismo e disarmo per introdurre il concetto di guerra giusta e perfino santa, delle campagne belliche umanitarie, degli aiuti compassionevoli in armamenti e prestatori d’opera mercenari.

Per non parlare delle grandi azioni condotte contro razzismo e xenofobia e contro le sue incarnazioni nei panni di un energumeno ignorante che pare inventato per rassicurare i detrattori sulla bontà della loro coscienza e che viene sottoposto a un processo rapido di riabilitazione quando serve un alleato di governo, e che hanno la stessa qualità morale e pedagogica delle campagne di Benetton con il festoso mondo colorato, che nel Bangladesh si è tinteggiato con il sangue dei caduti sul lavoro.

Da un paio di mesi poi ne sono venuti fuori altri limiti, quando il racconto edificante dell’integrazione e il mito virtuoso dell’accoglienza si sono dotati di nuove intrinseche disuguagliante e  gerarchie, rappresentate da un pensare comune secondo il quale  è normale e legittimo sentire più consonanza, compassione e pietà per profughi e fuggiaschi che sono cristiani, hanno il nostro colore, stanno su Facebook e Twitter, e che, soprattutto, si stanno sacrificando anche in nostro nome per la salvaguardia dei valori della nostra civiltà  occidentale.

A queste affinità pare se ne aggiunga un’altra, decisiva e dirimente: i gusti alimentari. Non sappiamo se esista un Masterchef ucraino che ha combinato tradizione e innovazione della cucina di una nazione la cui creazione dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica risale al 1990. Certo è che ha provveduto l’Italia a esaltare le sue specificità gastronomiche con la doverosa conversione della insalata russa in insalata ucraina e del manzo alla Stroganoff da riproporre in forma di straccetti alla Bandera.

Adesso si fa un passo avanti nel cammino della fusione dei popoli amici, proprio in quel contesto che per anni ha visto accendersi conflitti, revanscismi, disuguaglianze miserabili: le mense scolastiche, già differenziate quando ne venivano estromessi alunni non paganti da condannare alla schiscetta di casa da mangiare in solitudine sul banco, già terreno di scontro percorso dai fermenti di famiglie che non volevano che i palati dei delfini venissero contaminati da sapori difformi, le loro narici urtate da miasmi che erano costrette a sopportare nei casermoni popolari di Bastogi, dalla riscossa dei tutori dei rigatoni al sugo e del pollo con patate, che magari il sabato portano tutti trionfalmente al sushi bar.

Mi ricorda un’amica molto combattiva che anni fa era stato introdotto  il menù etnico, un giorno alla settimana nel quale si mangiavano piatti dei paesi di origine dei nostri alunni. Ma che fu soppresso per le intemperanze dei genitori con proteste, petizioni e minacce contro l’indegno melting pot che avrebbe potuto  offendere tradizione e identità nazionale.

Invece adesso riscoperta la solidarietà secondo la bravagente italica, direzioni scolastiche, ditte di ristorazione, agenzie di servizio hanno ricevuto dai Comuni l’imperiosa comunicazione per mettersi in regola con la somministrazione del menù ucraino, secondo un calendario del quale gli istituti scolastici sono tenuti a informare i genitori.

E per facilitare l’azione umanitaria vengono indicati i piatti intorno aia quali si consumerà questo rito di fratellanza: varenyky, mezzelune ripiene tipiche della cucina del nemico, pollo alla Kiev (involtini di pollo panati), infine patate al burro, un piatto caratteristico e peculiare del paese in lotta, che fa pensare a una revisione dei criteri salutisti che da sempre condannano l’impiego di quel condimento a rischio di colesterolo e obesità infantile, come succede con le cose buone e ghiotte da proibire per indottrinare i fanciullini ai canoni della penitenza educativa.

Da due mesi un premier di uno stato estero si aggiunge a altri poteri stranieri nel pretendere, esigere, comandare, chiedere pressantemente aiuti che stanno compromettendo la nostra presenza credibile in un tavolo negoziale, animosi profughi o immigrati già stanziali hanno imposto al loro presenza egemonica nelle piazze del 25 aprile con le loro bandiere e quelle della Nato, il nostro governo taglia lo stato sociale e offende lo stato di diritto stanziando fondi per l’invio di armi a un contendente, applica sanzioni che si ritorcono contro i cittadini per un preteso impegno solidale e morale che impone sacrifici ingiustificati da un punto di vista etico e controproducenti che mirano a un prolungamento e a un’estensione del conflitto.

Magari questo nostro popolo in letargo si sveglia sul pollo alla Kiev. Ma  non c’è da giurarci: questo è il tempo del tradimento, medici che non curano, cronisti che non informano, insegnanti che credono che il loro dovere sia trasmettere i messaggi del pensiero dominante, genitori che costringono i figli a fare da cavie.