Agli inizi del secolo e probabilmente da molto prima, sulla scia delle ricerche sulle armi batteriologiche cominciate durante la guerra fredda, il potere occidentale si è interessato del problema sanitario come arma sociale: dopotutto ciò che poteva valere per il nemico esterno, in termini di paura e di deterrenza, poteva anche valere per il nemico interno, tanto più che ormai esso era apertamente individuato nelle classi popolarti e negli strumenti di rappresentanza che esse erano riuscite a conquistare. Come disse Warren Buffet nel 2006, quando era l’uomo più ricco del mondo: “C’è una lotta di classe, d’accordo, ma è la mia classe, quella dei ricchi, che sta facendo la guerra e sta vincendo.” Tuttavia non bisogna pensare che la questione si ponga come fabbricazione di malattie, ad onta del fatto che gli Usa abbiano decine di laboratori di batteriologia a circondare Russia e Cina, perché di situazioni patologiche ce ne sono già a bizzeffe e talune opportunamente ridisegnate dalle multinazionali farmaceutiche, si tratta invece di agire sulla dimensione narcisistico – biologica degli individui che grazie al liberismo sta diventando quella principale se non unica della vita.
Il primo “esperimento” per così dire o il primo evento, per utilizzare un vocabolo dello stupidario contemporaneo, fu quello dell’antrace verificatosi una settimana dopo il crollo delle torri, una vicenda di cui in realtà non si è mai saputo nulla, salvo trovare, anni dopo i fatti, un capro espiatorio in un operatore di laboratorio che lavorava per l”Esercito e opportunamente “suicidato” un mese dopo una faticosa e inconsistente incriminazione. Un caso di scuola dell’insabbiamento cruento per cui non sappiamo nulla di questa storia e chi ne abbia mosso i fili, salvo il fatto che poche ore dopo il crollo delle torri, Jerome Hauer, direttore della Kroll Asssociates – una compagnia di sicurezza e di investigazione privata- oltreché consigliere del National Institute of Health, il principale organo sanitario americano, in quanto specialista della guerra biologica, consigliò la Casa Bianca di cominciare ad assumere il Cipro, l’antibiotico efficace contro l’antrace. Non voglio entrare nel merito della singolare preveggenza di Hauer, ma sta di fatto che il personaggio è stato il primo ad utilizzare la tecnica del terrore sanitario praticando la tecnica del “caso peggiore” ossia di prefigurare lo scenario di gran lunga più grave oltreché il meno probabile: nel 1998, Hauer fu assunto dall’ufficio di gestione emergenze del comune di New York, e prontamente ottenne dal sindaco Giuliani fondi a 7 zeri per studiare il “virus del Nilo” una grave encefalite trasmessa dalle zanzare e mortale in circa il 5% dei colpiti, sebbene questo virus fosse molto più mortale per alcuni animali, soprattutto per i cavalli.
Nel 1999 apparvero in Usa i primi casi, accompagnati da una immensa campagna di stampa allarmistica che poi si è diffusa ovunque sebbene i colpiti ad oggi non siano stati che qualche migliaio in tutto il mondo e i morti qualche centinaio. Val tuttavia la pena di sottolineare che la maggior parte delle poche vittime la sia è avuta durante la campagna allarmistica che si direbbe sia stata efficacissima per l’ottenimento di fondi e assai poco per i risultati. Oggi esiste anche in Italia e giustamente una rete di sorveglianza per questo virus che funziona ottimamente anche senza alcun bisogno di di distribuzione di angoscia, anzi che funziona bene proprio perché il problema è affrontato in termini sanitari e non emotivi.
Ma qui siano soltanto ai vagiti di una tecnica che ha avuto il suo affinamento nel 2005 con l’allarme dato per l’aviaria che avrebbe dovuto fare secondo l’Oms fino 150 milioni di morti uno scenario talmente terribile che ha indotto un’enorme quanto inutile spesa sanitaria a fronte di 200 morti attribuiti a questo virus nell’arco di un decennio. Ed è allora, anche grazie alla spinta degli enormi affari possibili, che secondo alcuni pensatori come Patrick Zylberman la sicurezza sanitaria diventa asse portante della strategia politica, manifestandosi in più occasioni. Egli nel suo saggio Tempêtes microbiennes del 2013, naturalmente mai tradotto in italiano, mostra che la strategia politico sanitaria si articola in tre fasi: costruzione di uno scenario fittizio in cui il caso peggiore per quando remoto diventa quello principale; assunzione del peggio come dimostrazione di razionalità politica e sua traduzione nella richiesta di obbedienza da parte dei cittadini nei confronti misure spesso insensate e lontane dai criteri sanitari ancorché si trovino tecnici pronti ad asseverare per paura o per tornaconto qualsiasi tesi, anche la più folle o inconsistente. Si tratta di restrizioni e segregazioni, privazioni della libertà costituzionali, comprese quelle di parola e di associazione tali da interrompere la vita pubblica in tutte le sue forme. Ma paradossalmente esse si presentano come dimostrazione di altruismo e di senso civico nel momento stesso in cui viene sottratta forzosamente la possibilità stessa della partecipazione civica. E’ la trappola nella quale è cascata in pieno la sinistra residuale o quella parte di destra neoliberista che per inerzia continua a considerarsi sinistra.
Come dice Giorgio Agamben questo punto l’uomo della strada non possiede più un diritto alla salute, ma un obbligo alla salute, almeno nei confronti di una sola malattia ufficiale , perché quanto alle altre può tranquillamente crepare senza alcun aiuto visto che la sanità è paralizzata da un’emergenza che nei fatti non esiste. Tutto questo per una sindrome influenzale che anche al netto delle pesantissime e sciagurate manipolazioni di numeri, ha indotto perfino meno decessi di alcune ventate influenzali degli anni passati e comunque sempre nelle persone molto anziane già gravemente malate, ma tutto il meccanismo delle segregazioni è stato allestito nella previsione del “caso peggiore” ovvero di 65 milioni di morti una cifra assurdamente sballata che dimostra solo la malleabilità e dunque l’inutilità dei modelli prefabbricati. Tuttavia non c’è affatto bisogno che a un livello di allarme corrisponda un analogo livello di pericolo reale, anzi una vera epidemia rischierebbe di mettere in forse proprio l’ingegneria sociale che si vuole mettere in atto. Ci vuole un pericolo che sia in gran parte declamato e ignoto, sufficiente a creare ubbidienza, laddove una minaccia concreta, percepibile al di là della televisione, rischierebbe di creare il caos. Del resto è inutile qualunque appello alla razionalità e alla coerenza poiché il terrorismo sanitario ha per l’appunto lo scopo di soffocarle sotto un letto di virus, di allarmi e di ritualità verbali: se poi il potere politico mediatico che gestisce tutto questo è particolarmente ottuso allora tanto peggio, si verificherà, come sta avvenendo in Italia, un crollo record dell’economia, superiore a quello di tutti gli altri Paesi, ma si tratta di particolari in una strategia che politicamente corrisponde a ciò che è diventato l’uomo del XXI secolo, privo di speranze, di idee politiche, di valori sociali, un narcisista che costruisce improvvisati tempietti e labili tempietti a stesso.
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